Partì per il fronte a difendere la patria, morì nello stesso campo di concentramento di Anna Frank perché si rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò e di combattere contro i suoi connazionali. A quasi 75 anni dalla morte, dagli archivi della storia riemergono gli ultimi giorni di vita del tenente Amabile Marelli di Camnago: oggi di lui rimane una maestosa statua al cimitero voluta dai genitori, deceduti negli anni Sessanta senza sapere perché il loro figlio fu deportato in un campo di sterminio.
Grazie a Giuseppe Mandarano, vicepresidente dell’associazione Divisione Acqui di Milano e membro del Comitato scientifico pietre d’inciampo Monza e Brianza, i parenti rimasti hanno finalmente scoperto dove e perché venne deportato il loro familiare. Impegnato nella ricostruzione di chi dal fronte e dai lager non è mai tornato, Mandarano ha consultato la banca dati finanziata dal governo tedesco e costituita dai nominativi di tutti quelli deceduti nei campi. Risultato? Tra gli internati militari al campo di Bergen Belsen in Germania c’era anche il sottotenente Amabile Marelli, deceduto il 13 marzo del 1945 per malattia e lì sepolto.
«Il sottotenente Marelli è stato uno dei circa 50mila internati militari italiani che non ritornarono perché si rifiutarono di ubbidire, ossia di aderire alla Repubblica di Salò e di combattere contro i loro stessi connazionali» spiega Mandarano. Il sottotenente Marelli era nato il 23 dicembre del 1918 a Camnago e qui era cresciuto. Abitava con la famiglia in una villa in via XXIV Maggio, esiste ancora oggi non lontano dall’ex Serica. Madre casalinga, papà commerciante, sposò la carriera militare e diplomatica. Volontario, partì per il fronte greco col grado di sottotenente, ma qui qualcosa si ruppe.
Una delle cugine, Tita Colombo: «Scrisse delle lettere ai genitori, in cui raccontava di cose che non andavano bene ed era pronto a sacrificare la propria vita pur di non rinnegare le sue idee». Di lui poi non si ebbero più notizie. La famiglia venne solo a sapere che morì a Bessenberg in Germania, un’errata comunicazione trascritta alla base della lapide del sottotenente: “Campo di Bessenberg, Germania, volontario di guerra, prigioniero, preferì la morte all’ubbidienza straniera”. Ora la storia non soltanto svela il perché della tragica fine di Marelli ma consentirà a Tita Colombo e alla storica Cristina Volontè, cugine del sottotenente, di correggere il nome del campo di concentramento sulla tomba con la dicitura Bergen Belsen, dove morì anche Anna Frank. E di dare così il giusto riconoscimento a un eroe semplice che ha sacrificato la vita per un ideale più grande: l’amore per l’Italia.