“Diverso da chi?”: piccolo manuale pratico per i bipedi ignoranti

LEGGI Puntata 1 - 2 - 3 “Diverso da chi?”, la rubrica di Nicolò Cafagna. Con franchezza e (molta) ironia racconta la sua vita con disabilità. La quarta puntata fornisce consigli di approccio per i bipedi.
“Diverso da chi?”: piccolo manuale pratico per i bipedi ignoranti

Uno dei maggiori problemi che l’esemplare di disabile o “sofferente” incontra in campo sociale – in particolar modo il “transalpino”, cioè chi è intimo dell’ormai nota Francesina – verte sulla sottovalutazione gentilmente concessa degli esemplari detti banalmente normodotati, o più raffinatamente “bipedi attivi”.

L’arte del sottovalutare il sofferente è un arcobaleno che abbraccia tutti gli ambiti della vita, a partire dal lavoro. Se poi sei giornalista e come il sottoscritto sfigato, ops distrofico, allora si aprono le danze: i bipedi attivi ignoranti ti guardano increduli, e a volte sembra di sentire i loro pensieri: «Davvero ha detto giornalista? Avrò capito male oppure questo è matto». E sì, oltre che disabile fisico adesso anche mentale? Dopodiché mi candido a rappresentare il ritratto della salute. Se invece credono di avere capito male, quello che hai appena detto non viene messo agli atti della conversazione, come se non l’avessi detto.

1/“Diverso da chi?”: la mia vita con la Francesina è una questione di Principio

2/“Diverso da chi?”: il 24 maggio 1995, il Milan e la scoperta dell’(auto)ironia

3/“Diverso da chi?”: ma sono già un olimpionico della disabilità o ne manca?

Adesso cambiamo ambito e passiamo a quello impervio della vita sociale, di cui per la prima volta scopro oggi il significato. E si, al bipede attivo ignorante, appare quasi impossibile che un transalpino abbia degli amici: «È una persona che paghi», ti chiedono, «no, è un amico», rispondi. Quindi affermano con certezza: «Ah, è un volontario», «no, è un amico». Conclusione: «Allora è davvero bravo». E a questo punto sollevi la mano – bè, si fa per dire -, e sventoli bandiera bianca. Alzando, invece, la posta in palio il risultato non cambia, peggiora solamente: il bipede ignorante non può proprio comprendere che tu possa avere una fidanzata, è inaccettabile, allora afferma: «Quindi ti porta in giro e ti aiuta?», a quel punto la bile comincia a salire, e vorresti rispondere: «Sì, si occupa anche del mio pisello, ma non per fare la pipì». Il rischio, però, è un attacco al cuore al proprio interlocutore. Per andare sul sicuro però, con conseguente morte del bipede, dovrei provare a sostenere di avere un fidanzato…

Ma non è finita qui, poiché la sottovalutazione più grave e atroce non è ancora stata menzionata, la madre di tutte, addirittura pericolosa per l’incolumità, sia del bipede attivo che dello stesso sofferente, su cui è doveroso soffermarsi: ovvero far la conoscenza dell’esemplare di francesino. In questa situazione il bipede attivo pensa (ripeto, mi sembra di sentire i pensieri): «Ah, io non mi faccio mica problemi a presentarmi a un disabile, posso così dimostrargli di non provare pietà per lui, e poi sono una persona aperta». Quindi con fare tranquillo si avvicina all’indifeso transalpino al quale tende il braccio con sicurezza, per tutta risposta il disabile – essendo poco educato – non si adopera nella medesima operazione. Al che, in un sol boccone al normodotato si sgretolano tutte le sicurezze, comincia a sudare le prime delle sette camicie e si prodiga in scuse senza fine: «Scusa, scusa, mi dispiace» o «non lo sapevo» o ancora «non ci avevo pensato».
Nel frattempo il distrofico spera, sapendo sia una vana speranza, che il bipede non prenda altra iniziativa. Tuttavia a quest’ultimo, e il procedimento una volta partito non si può più arrestare, si spreme le meningi: «Poverino (e qui della pietà si dimentica) non può allungare il braccio, devo fare qualcosa, non posso far finta di nulla, lui è una persona come me e devo avere almeno un contatto fisico».

Così in ottemperanza al proverbio, “se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna”, ecco l’iniziativa tanto temuta: il bipede allunga la mano in direzione della mano distrofica destra, mano solitamente incaricata di guidare la carrozzina, per mezzo del joystick. Il francesino essendo molto rapido – tant’è che in una gara di velocità contro un bradipo, il bradipo vincerebbe a zampe basse – non fa in tempo a spegnere la sua “sedia elettrica” e il divertimento, per chi assiste, è assicurato: la carrozzina comincia a vagare – avanti e indietro, a destra e a sinistra – colpisce tutto quello che si trova davanti e di fianco, spesso le caviglie del malcapitato normodotato, che sta sudando le restanti camicie. In quel momento il transalpino si augura che l’innocente aguzzino capisca al volo che deve togliere quella benedetta mano, per porre fine alla mattanza e riprendere nella tanto adorata sequela di scuse: «Aridaje». Per ovviare al problema, io che sono furbo e intelligente, ho abbandonato sull’autostrada la mano per un più originale mento, con il quale ora potrei guidare tranquillo: adesso, qualcuno mi può spiegare perché per salutarmi oggi è necessario scuotermi la testa?