Da mandante e mediatore che “assoldò i killer”, a innocenti. Dopo una saga giudiziaria che si trascina dal 2014 (anno del primo processo) per un omicidio – quello di Paolo Vivacqua – avvenuto a novembre 2011, Salvino La Rocca e Diego Barba (questo difeso dall’avvocato Manuela Cacciuttolo) precedentemente condannati a 23 anni di reclusione, sono stati assolti dai giudici di Corte d’Appello, dove sono comparsi per la terza volta, tra annullamenti e rinvii tra i diversi gradi di giudizio.
Dell’omicidio dell’imprenditore siciliano di Ravanusa (Agrigento) trapiantato a Desio, dove ha fatto fortuna con il commercio di rottami metallici, restano scritti come colpevoli in una pronuncia giudiziaria solo gli esecutori materiali, Antonino Radaelli e Antonino Giarrana, condannati a 25 anni (e non più all’ergastolo), senza l’aggravante della premeditazione. Resta oscuro il mandante dell’omicidio a colpi d’arma da fuoco avvenuto un lunedì mattina nell’ufficio di via Bramante della vittima.
Per Diego Barba e Salvino La Rocca, considerati appunto il mandante e mediatore, a febbraio era arrivato il secondo annullamento in Cassazione senza rinvio limitatamente al reato di detenzione di arma da sparo (prescritto), ma con trasmissione degli atti ai giudici milanesi d’Appello sul reato di omicidio, per il quale erano stati condannati a 23 anni di reclusione ciascuno.
La Rocca e Barba alla fine di ottobre 2019 avevano lasciato il carcere su decisione del Riesame, dopo un ricorso basato su questioni procedurali. Dalla vicenda era già uscita in modo definitivo Germania Biondo (anche lei difesa dall’avvocato Cacciuttolo), la vedova di Vivacqua.
Nelle motivazioni della precedente sentenza d’appello i giudici riportavano che il “motore dell’omicidio di Paolo Vivacqua” andava cercato in una convergenza “di interessi personali ed economici per fargliela pagare”, e che il delitto è stato “organizzato da Diego Barba per la ricerca di una ingente quantità di denaro contante: cinque milioni di euro”.
Ma sul movente, appunto, ha sempre pesato una certa incertezza. Si è passati dalla pista passionale (il tradimento di Vivacqua alla Biondo con una donna più giovane dalla quale aveva avuto un figlio), a quello economico (il fantomatico “tesoretto” in contanti da cinque milioni che Vivacqua avrebbe nascosto), a quello del rancore personale (un pestaggio che Barba avrebbe subito in Sicilia dai figli di Vivacqua per aver allacciato una relazione con la Biondo, loro madre). Ma con questa sentenza, si allontana forse in modo definitivo la verità giudiziaria.