Luci e ombre sulla crisi della Pozzoli Food spa, che tra lunedì e giovedì ha attraversato due passaggi decisivi per il futuro dei 185 lavoratori coinvolti e per l’azienda con quartier generale a Carate Brianza. Se da una parte hanno aperto spiragli di speranza le dichiarazioni della proprietà sull’interlocuzione con potenziali player cui cedere (o affittare) i propri punti vendita, dall’altra la richiesta di una cassa integrazione straordinaria per cessazione (e non più per ristrutturazione) preoccupa i sindacati e sposta la discussione sull’ammortizzatore sociale al Ministero dello Sviluppo Economico. E intanto, sono solo 6 i market rimasti aperti, sui 18 complessivi sparsi tra le province di Monza Brianza, Milano, Como, Lecco, Bergamo, Brescia e Varese: «Gli ultimi a chiudere saranno Desio e Vertemate, si tratta ormai di 2 o 3 settimane residue per smaltire la merce» dice Andrea Montanari della Filcams Cgil. In parziale contrasto, l’azienda ribatte: «Non è detto che nelle prossime settimane chiuderemo tutti i negozi». Ma in fondo, i punti caldi della questione sono altri, principalmente due.
Primo, la cassa. Lunedì, in Regione Lombardia si è discusso della richiesta di cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale, che Pozzoli aveva presentato a metà gennaio e finalizzata al sostegno dei 185 dipendenti rimasti (dopo l’annuncio della crisi, sui 250 totali una settantina avevano trovato occupazione altrove). «Non è stato possibile sottoscrivere l’accordo perché attualmente non ci sono concrete possibilità di cessione» ha detto Montanari, e quindi «in questo incontro l’azienda ha comunicato l’intenzione di attivare la cassa integrazione per cessazione: se ne discuterà al Mise – aggiunge Francesco Barazzetta della Fisascat Cisl -. Siamo preoccupati perché la procedura non lascia spazio alla fantasia, nonostante quel che l’azienda continua a sostenere».
Ossia la volontà di «mantenere i livelli occupazionali – ribadiscono i vertici aziendali -. La cassa che abbiamo richiesto, quella del decreto Genova, è la più consona alla nostra situazione. Lo scopo resta quello di garantire tutti i livelli occupazionali ma, mentre si valuta come poterlo fare e si prosegue il confronto con i player, si garantirebbero i lavoratori con un ammortizzatore sociale. Per inciso, ci teniamo a precisare che tutti gli stipendi dovuti, ad oggi, sono stati pagati». Nella più rosea delle prospettive, la continuità occupazionale si paleserà a fronte di un adeguato acquirente o affittuario.
E qui si approda alla seconda questione. La richiesta di concordato preventivo con riserva, che l’azienda ha presentato a fine dicembre al Tribunale di Monza. Giovedì, in un’audizione presso la IV Commissione attività produttive di Regione Lombardia, in cui si è fatto il punto della situazione alla presenza di impresa, sindacati, parti sociali e politiche, i rappresentanti dell’azienda hanno dichiarato interlocuzioni in corso con 4 player.
Le trattative non potranno comunque prolungarsi oltre 3 mesi, in quanto la procedura di concordato terminerà entro il 29 febbraio e potrà essere prolungata per un massimo di ulteriori 60 giorni. Con due possibili esiti: «L’omologazione del concordato oppure, in mancanza di un’autorizzazione dello stesso, un fallimento» spiega Barazzetta.