Ricorso accolto e, per l’effetto, annullamento del provvedimento comunale che era stato impugnato, nonché condanna a rifondere all’Associazione Anasr le spese di lite del giudizio, quantificate in 3mila euro, in capo al Comune di Seregno, che dovrà rimborsare anche il contributo unificato versato dalla parte ricorrente. È questo il succo della sentenza pubblicata giovedì dalla sezione seconda del Tribunale amministrativo regionale di Milano, in merito al ricorso presentato dall’Associazione Anasr, che aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza di ripristino della destinazione d’uso dell’immobile di cui è proprietaria in via Milano, classificato come laboratorio artigianale, notificatale il 19 dicembre dell’anno passato a firma del dirigente dell’Area Servizi per il territorio della macchina comunale Lorenzo Sparago.
La decisione è seguita all’udienza di merito dibattimentale, svoltasi in videoconferenza martedì 10 novembre, ed alla precedente sospensiva, che lo stesso Tar aveva adottato in primavera. Lo spazio sotto la lente d’ingrandimento, come è noto, è quello che, fin dalla campagna elettorale che ha preceduto le ultime amministrative, che nel 2018 hanno visto il successo di Alberto Rossi, è stato indicato come centro islamico o addirittura moschea. Il Comune di Seregno aveva prodotto l’ordinanza contestata dopo cinque accertamenti da parte della Polizia locale, effettuati tra l’ottobre ed il novembre del 2019, che però il presidente della sezione Italo Caso ha giudicato come insignificanti o privi di chiarezza ed efficacia, mentre nessun valore è stato attribuito all’annuncio apparso in precedenza sui social network, che accreditava l’apertura sul posto di un centro culturale di matrice islamica.
«Ci prendiamo il tempo per gli approfondimenti. Ma, salvo ulteriori valutazioni, riterrei che l’esito più che probabile della vicenda non possa che essere un ricorso al Consiglio di Stato». Il sindaco Alberto Rossi ha commentato così, a caldo, la decisione del Tar della Lombardia. «La sentenza – ha proseguito il primo cittadino, che in consiglio comunale e nei suoi interventi precedenti in proposito aveva sempre classificato la questione come prettamente urbanistica – sembra chiaramente fondata sulla difesa del principio di libertà religiosa, che occupa i due terzi delle pagine, su cui tra l’altro nessuno ha mai sollevato alcun tipo di obiezione e che ben poco ha a che vedere con il merito della vicenda in oggetto. Il tema ed il presupposto della nostra ordinanza erano completamente diversi: la questione delle violazioni edilizie, che ad una prima sensazione sembra messo sullo sfondo. A fronte, invece, di una evidente ed ampia censura della legge regionale sui luoghi di culto, che appaiono essere il vero e reale obiettivo del giudice amministrativo. Giudice amministrativo che, parimenti, mostra apprezzamento nullo per la normativa sulle associazioni di promozione sociale, non conferendo alcuna maggiore rilevanza alla formale iscrizione negli appositi registri».