Borse d’alta moda pagate al laboratorio cinese 20 euro arrivavano in boutique a 350. L’alta moda passa (anche) da opifici – “sub affidatari non autorizzati” – gestiti da cittadini cinesi in provincia di Monza, oltre che di Milano e Pavia. Otto quelli sottoposti a accertamenti a partire da settembre dello scorso anno da parte dei Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano, “tutti risultati irregolari”, dove sono stati identificati 197 lavoratori di cui 37 occupati in nero e clandestini sul territorio nazionale. Dieci le denunce per caporalato e ammende e sanzioni per 300mila euro.
Accuse di caporalato (anche) in Brianza: decreto di amministrazione giudiziaria per una azienda dell’alta moda
I militari hanno inoltre dato esecuzione a un decreto di “amministrazione giudiziaria” emesso dal Tribunale di Milano – Sez. Misure di Prevenzione su richiesta della Procura della Repubblica di Milano a carico di una azienda operante nel settore dell’alta moda, la Alviero Martini (non indagata): ”in quanto sarebbe ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo”. Non avrebbe infatti: “mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per appurare le reali condizioni lavorative ovvero le capacità tecniche delle aziende appaltatrici”. Cioè avrebbe: “agevolato (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”.
Accuse di caporalato (anche) in Brianza: borse pagate 20 euro ai cinesi vendute a 350
Da quanto accertato, la casa di moda avrebbe infatti affidato, “mediante contratto di appalto con divieto di sub-appalto senza preventiva autorizzazione”, l’intera produzione a società terze, esternalizzando cioè completamente i processi produttivi. Aziende appaltatrici ufficiali che avrebbero invece operato con sub appalti fino agli opifici cinesi, “i quali riescono ad abbattere a loro volta i costi grazie all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento” dice l’Arma. Un sistema “a strozzo” che i carabinieri hanno esemplificato – la borsa prodotta e pagata 20 euro al laboratorio cinese viene ceduta a 30 euro dal subappaltatore alla società appaltatrice ufficiale che la fattura a 50 euro al brand di alta moda il quale la mette in vendita in negozio a 350 euro – che consentirebbe di realizzare: “una massimizzazione dei profitti”.
Accuse di caporalato (anche) in Brianza: negli opifici cinesi al lavoro senza osservare le norme
Ciò in particolare proprio abbattendo i costi da lavoro, quindi contributivi, assicurativi e imposte dirette: “facendo ricorso a manovalanza “in nero” e clandestina”, e poi “non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i Contratti Collettivi Nazionali Lavoro di settore riguardo retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie”. Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata sottoposti alle verifiche del NIL dell’Arma sarebbe stato anche riscontrato che i lavoratori erano costretti a stare in dormitori realizzati abusivamente “e in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico”.
Accuse di caporalato (anche) in Brianza: dieci titolari denunciati e ammende e sanzioni per 300mila euro
Deferiti in stato di libertà a vario titolo, anche per caporalato, dieci titolari di aziende “di diritto o di fatto di origine cinese” oltre che 37 persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale e comminate ammende pari a oltre 153.000 euro e sanzioni amministrative pari a 150.000 euro e per 6 aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero.