Giornata della Memoria 2020: la medaglia di Anacleto Caprotti, deportato a vent’anni come schiavo di Hitler

Anacleto Caprotti, 97 anni, nel Giorno della Memoria ha ricevuto la Medaglia d’Onore conferita dalla Prefettura a 26 cittadini brianzoli che furono deportati o internati nei lager nazisti. Ecco chi è il monzese schiavo di Hitler che ha rifiutato la Repubblica di Salò.
Monza: Anacleto Caprotti
Monza: Anacleto Caprotti

Anacleto Caprotti aveva solo vent’anni quando nel settembre 1943, dopo l’Armistizio, come migliaia di militari è stato rinchiuso dai tedeschi in un campo di prigionia in Grecia e poi internato a Berlino. Il 23 gennaio i il monzese, che da alcuni anni vive all’Oasi di San Gerardo, ha compiuto 97 anni ben portati festeggiati con il figlio Rinaldo e la nuora Maria Teresa che vivono a Londra, i nipoti, i pronipoti e altri parenti.

Il 27 gennaio per lui è un’altra giornata importante: l’unico sopravvissuto ai lager a ritirare la medaglia d’onore consegnata al Teatro Manzoni agli ex deportati dal prefetto Patrizia Palmisani. Gli altri riconoscimenti, infatti, saranno tutti alla memoria.

I racconti ai nipoti. Il ricordo della fame patita, degli orrori visti, dei compagni di prigionia morti lo hanno accompagnato per tutta la vita ma, come molti scampati all’inferno, raramente ne ha parlato alla moglie e al figlio. Ha raccontato qualcosa in più ai nipoti che hanno ricostruito la sua odissea: appena arrivato al campo ha scelto di fare il falegname e non l’attività di barbiere che svolgeva a Monza. La decisione gli ha risparmiato le fatiche più dure riservate agli altri operai e gli ha permesso di uscire quando era necessario riparare le baracche degli altri lager.

Erano gli “schiavi di Hitler”: gli Imi, Internati militari italiani, circa 650mila soldati che dopo l’8 settembre sono stati stipati nei convogli diretti oltre le Alpini con l’etichetta di Italienische Militärinternierte: furono classificati come lavoratori civili volontari e obbligati per avere mano d’opera per il Reich.

In quei mesi gli Alleati bombardavano la Germania quasi ogni giorno: Caprotti ha contato oltre 280 incursioni e una di queste lo ha straziato nell’animo in modo terribile. Per un caso si è riparato in un rifugio diverso da quello che utilizzava solitamente, distrutto dagli ordigni che hanno ammazzato tanti suoi compagni: al dolore si è aggiunto l’orrore quando, al termine dell’attacco, i nazisti lo hanno costretto a recuperare i poveri resti, molti dei quali impigliati nei reticolati.

«Solo una volta – commenta il figlio Rinaldo – ha avuto una reazione: eravamo al mare a Caorle e mi ha detto che non sapeva se sarebbe riuscito a mantenere il controllo se avesse visto una di quelle guardie. Mi ha sempre stupito come lui e tanti ragazzi abbiano preferito la prigionia alla possibilità di aderire alla Repubblica di Salò, prospettata più volte»..

Al ritorno a Monza, nell’autunno del ’45, la storia di Anacleto si incrocia con quella di un altro giovane reduce: Federico Riva, originario di Cornate d’Adda, internato a Danzica quando non aveva ancora compiuto vent’anni.
«È morto nel 1972 quando io avevo quattro anni – spiega la figlia Rachele – ricordo poco di lui, ho solo qualche sprazzo. Abbiamo, però, le tante lettere che ha inviato ai suoi genitori» in cui evitava di descrivere le dure condizioni probabilmente per rincuorarli.

Le lettere. Anche lui ha rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò: «Si fanno insistenti domande – ha scritto in un biglietto – perché si passi liberi lavoratori. Finora resisto e rimango prigioniero». «La scorsa settimana – ha raccontato nel maggio ’44 – ci hanno pesato. Sono 60 chili e due etti. Fin troppo per dei prigionieri» eppure quando è tornato a casa nell’ottobre ’45 dopo essere stato detenuto anche in Russia i famigliari hanno stentato a riconoscerlo.

Rachele è la sorella di Maria Teresa, la nuora di Caprotti: «Per me – afferma – Anacleto è stato un secondo papà». Lunedì al Manzoni sarà vicina a lui e, con il cuore, a Federico mentre ritirerà la medaglia alla sua memoria.