Mi ritorni in mente: quando Luigino Kullmann appese i pattini al chiodo

È il 1955 e in Savona-Novate arriva l’ultima delle 900 partite di hockey a rotelle di Luigino Kullmann. Poi il gran rifiuto a Barcellona e la nascita di una seconda vita a bordo campo. Con Monza che cresce alla sua ombra. Lo racconta Mario Bonati nella rubrica #MiRitorniInMente.
testate storiche il cittadino monza brianza
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Il tempo passa per tutti. Luigino Kullmann ha 39 anni e stazza più di un’ottantina di chili. L’atleta ammirato e rispettato da compagni e avversari s’arrabatta con i logori ferri del mestiere. La mente è ancora sopraffina, ma sono le reazioni a desiderare: il fratello grasso del capitano dell’Hockey Club Monza e della Nazionale soffre maledettamente per tanta restrizione. La pancetta di ordinanza fa tanto cumenda in gita di piacere, maledizione. Chiaro: la classe – quella – è intatta, ma i riflessi, arrugginiti da tante battaglie campali affrontate, hanno la reattività di Brunone Citterio che pretenderebbe – il tapino – di agguantare in presa un sbilenco shoot di ordinanza. Domenica 6 maggio 1955, a Savona, Luigino allaccia i pattini per l’ultima partita della sua lunghissima carriera agonistica. Il “suo” Novate supera la squadra di casa per 10 a 7. Eccentrica alla città e fuorimano, la pista profuma di basilico e maggiorana. Il match d’infima categoria denuncia gli inarrivabili limiti dei giocatori presenti, con l’eccezione – ma va? – di Kullmann. “Ho giocato come ai bei tempi ed ho contributo in gran parte a far vincere il Novate”, spropositerà un pochino il Luigino.


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In realtà, il “centro” per antonomasia della disciplina sfrutta fino alla smanceria l’enciclopedia dell’hockey a rotelle, rilegata da 900 partite sempre vissute da protagonista. Nonostante i chili di troppo, la sassata assassina che mata i portieri avversari rimane lo spaventoso biglietto da visita dell’ex Nazionale. Smessi i panni dell’implacabile stoccatore, Kullmann sfrutta la laurea in saccoccia per impiegarsi – siamo nel ’56 – al saponificio Ambrogio Silva di Seregno. Dimentico di stecca e bastone, Luigino s’addanna a portare il pattinaggio artistico su rotelle al centro della ribalta nazionale, martellando il presidente della Federazione, il modenese Luigi Rio. I frutti non tarderanno ad arrivare: nel 1958, lo Skating Club “K” si laurea campione italiano assoluto esaltando la verve di Donatella Cazzaniga e la diuturna competenza del maestro Franco Beretta. Celebrato il 25esimo dell’Hc Monza, Kullmann rifiata un pochino e vaglia le proposte per l’avvenire.

Scartate le soluzioni più facili – l’orticello biancorosso può ancora aspettare – Luigino è affascinato dall’offerta giunta da Barcellona, sponda Espanyol: allenare la squadra biancoazzurra sarebbe l’occasione della vita, ma Kullmann tiene famiglia e cede alla mozione degli affetti e declina l’offerta. La proposta recapitata dal portiere titolare Juan Antonio Samaranch Torellò – pesetas in quantità e vita agiatissima nella capitale catalana – viene respinta al mittente con la coscienza di aver detto no a un tradimento pochissimo mascherato. Dopo la vergognosa corrida di Novara – con Nanotti e Panagini colpevoli di efferatezza e brutalità gratuita ai danni dei malcapitati giocatori del Monza – Kullmann, intervistato dal Cittadino, stigmatizza il “gioco cosiddetto moderno. Quando giocava il Monza dei Viganò, Colombo Massimo, di Bettini, dei fratelli Castoldi, predominava il concetto del terzino fermo, del centro che teneva la metà campo e degli avanti che, almeno uno, erano effettivamente avanzati sul terreno di gioco. Con questo metodo la palla viaggiava assai da un giocatore all’altro e si poteva così assistere alle indiavolate discese (celebri anche all’estero) dei fratelli Castoldi, di Viganò e di Haver, oppure ai bellissimi contropiedi di Arnaboldi suggellati da quel mago di astuzia ch’era Massimo Colombo e, prima ancora, dal compianto Gildo Colombo”.

In pratica: il vecchio metodo era preferibile a quello attuale. Luigino è – nonostante tutto – un paladino del passato. “Se dovessi allenare una squadra di giovani, appronterei ancora il gioco che praticavano gli inglesi che sono stati i veri maestri dell’hockey a rotelle e che hanno avuto indubbiamente i più forti giocatori di tutti i tempi. Forse i risultati non sanzionerebbero questi miei schemi, ma lo spettacolo ne trarrebbe indubbio giovamento intessuto come sarebbe di azioni a largo respiro, concretantisi in goal volanti su passaggi altrettanto volanti. Mi è doveroso anche ricordare al pubblico che l’hockey è uno sport cavalleresco, come lo è il rugby, ma come questo assai pericoloso, per cui è facile cadere in gravi scorrettezze”, come i due reprobi piemontesi insegnano. Poi la passione per l’hockey ragionato monta di nuovo in cattedra. Quattro lunghissimi anni senza vincere lo scudetto è un anatema per una città – Monza – che ha nel suo dna il talento per le rotelle.

L’anno è il 1961. Kullmann è conscio di avere tantissimo da perdere a nulla da guadagnare, ma si rimetto in gioco aggiornando – che non è mai scontato – il bagaglio tecnico. La formazione-tipo biancorossa è rivoluzionata, anche per il grave incidente che mette fine alla carriera di Gianni Pennati. Da Bolis (portiere), Villa (terzino), Pennati (centro), Bosisio (ala tornante) e Gelmini I (ala avanzata), lo schieramento del Luigino privilegia: Bolis, Villa, Bosisio (centro), Levati (ala tornante) e Gelmini II (ala avanzata). Se Emilio Levati, il “barone”, è un smaliziato califfo della vecchia guardia, Maurizio Gelmini è la novità più ghiotta della compagine biancorossa. Iniziato all’attività hockeistica dallo stesso Kullmann, Gelmini “ha sottolineato quale peso abbia avuto nella vittoria di campionato la buona armonia che ha regnato fra i giocatori”. La nuova disposizione tattica concertata dal Luigino, finalizzata a battere la concorrenza in virtù di un gioco modernissimo e scintillante, paga finalmente i dividenti.

“Si iniziò il campionato adottando uno schema 1-3-1, nel quale i giocatori esterni assumevano in difesa uno schieramento a tre e precisamente il nostro 2 sul 4 avversario, il 3 sul 5 sul 5 e il numero 4 sul 3 antagonista – chioserà Kullmann a Giandomenico Barzaghi, dirigente dell’Hc Monza prestato al giornalismo per il Cittadino- Il nostro numero 5 rimaneva avanzato, osservando le mosse del terzino avversario. In fase offensiva molto ci si attendeva dalla capacità singola di dribbling e realizzazione del n. 5 (ala sinistra), il quale aveva la disposizione di rimandare indietro la palla, qualora aveva si avvedesse di non poter concludere felicemente l’azione che veniva così prontamente ripetuta, permettendo allo stesso n. 5 di piazzare meglio per la botta finale. L’ala destra nostra (4) procedeva lungo l’asse longitudinale con l’obbligo di mai portarsi nella zona del vertice destro d’attacco. E’ questo il gioco “a uomo” in difesa e a “rombo” in attacco. Esempio pratico di questa manovra fu la prima partita giocata a Valdagno e conclusasi con una netta vittoria di 9 a 0 sul Marzotto. Venuto a mancare il centro Pennati per il grave incidente di gioco che tutti ricordano, si ricorse ad una seconda soluzione tattica, ossia 2 + 1 + 1: la difesa rimaneva imperniata sui numeri 2 e 3, il 4 giostrava a zona, sostituendo prontamente il n. 2 o il 3 quando questi si portavano all’attacco. Il n. 5, all’occorrenza, pure retrocedeva, anche se parzialmente, per coprire una zona difensiva del campo: si aveva così un avvicendamento insolito di giocatori (non a tourbillon) ma a linee diritte longitudinali , che arrecava indubbi confusione nella squadra antagonista.

Esempio di questo secondo sistema tattico fu il bellissimo successo conquistato a Trieste contro quella Triestina che l’anno precedente ci aveva battuti per 3 a 0 sulla stessa pista. Pensiamo di non andare errati nell’affermare che questa sia stata la più grande partita disputata dall’Hockey Monza nell’ultimo biennio, tanto che il Presidente della C. T. F., dopo l’incontro venne nei nostri spogliatoi comunicandoci che avrebbe proposto l’invito dell’intera nostra squadra per i successivi campionati europei, ciò che infatti avvenne”. Come dire: il Monza travestito da Nazionale per i prossimi Europei di Torino di settembre. La rivista federale della Fihp esalta ancor più l’annata monstre dell’Hc Monza. I migliori giocatori – ruolo per ruolo – della stagione ’61 danno ragione delle scelte di Kullmann: “Portieri: Bolis (Monza) punti 93,5; Noro (Marzotto) punti 92; Patrini (Lodi) punti 88,5. Terzini; Baraldi (Amatori Modena) punti 90; Villa (Monza) punti 86,5; Aina (Novara) punti 85. Centri: Mora (Novara) punti 86; Bosisio (Monza) punti 81,5; Cazzola (Marzotto) punti 79. Ali destre: Levati (Monza) punti 81; Cerrina (Novara) punti 74,5; Crotti (Amatori Novara) punti 73. Ali sinistre: Gelmini II (Monza) punti 74; Masala (Lazio) punti 74; Spessol (Ferroviario) punti 71,5. Ruoli diversi: Tavoni (Amatori Modena) punti 88,5: De Gerone (Marzotto) punti 70; Panagini (Novara) punti 67,5”.

Anche la Gazzetta dello Sport celebra la conquista del titolo italiano dell’Hockey Club Monza: “Lo scudetto dell’hockey che nel 1957 trasmigrò da Monza per andare a Modena, indi per un biennio a Novara e lo scorso anno di nuova a Modena, è tornato ora a Monza. La compagine brianzola l’ha conquistato con la sigla inconfondibile della squadra meglio dotata in grado di sviluppare un maggior volume di gioco e di sostenere in ogni gara un ritmo velocissimo sino alla fine. In tutti i reparti, si può ben dire, il Monza ha disposto di uomini veramente all’altezza, talché punti deboli non ve ne sono stati e la squadra ha potuto non accusare scompensi quando un grave infortunio rese impossibile a Pennati di continuare il campionato. Bolis è un portiere i cui meriti non sono di oggi e che sono rifulsi in quasi tutte le partite; Villa e Bosisio sono stati due ottimi difensori ed hanno dato un solido apporto al gioco d’attacco. Levati e Gelmimi II hanno costituito la coppia solida, decisa sotto rete, pronta a ripiegare per dar man forte alla difesa. Rincalzi di lusso Bortolini e Pessina, particolarmente Bortolini”.

Archiviato il campionato, sabato 9 settembre ’61, al Palasport di Torino, “inizieranno i campionati europei di hockey cui partecipa anche la squadra azzurra che è stata ben selezionata dal C. T. Bertuzzi con l’ausilio del cav. Vici, il comm. Gatti prima di concedere il… premesso di festeggiare lo scudetto conseguito dal Monza nel testé conclusosi nel torneo nazionale, desidera attendere l’esito della manifestazione piemontese., che vede in lizza ben 12 squadre in rappresentanza di altrettanti Paesi -annota Barzaghi nell’edizione di giovedì 7 settembre del Cittadino – Dal momento che l’ossatura fondamentale della nazionale italiana è costituita dagli atleti monzesi (6 su 10), è chiaro che il presidente biancorosso spera che i suoi ragazzi s’impongano pure a Torino per dar vita poi ad un’unica, imponente celebrazione. Spiace che Villa per impegni professionali abbia dovuto rinunciare a questi campionati. In sua sostituzione verrà, molto probabilmente, convocato il novarese Aina. Fra i pali saranno schierati – a turno ed in base al valore delle formazioni avversarie – Bolis e Patrini. Il modenese Baraldi e, forse, Aina, saranno i terzini. Non ritenuto all’altezza del compito il triestino Prinz, il centro titolare sarà Bosisio (esordiente!). Per le partite facili, questo ruolo verrà invece ricoperto da Mora. Le due coppie d’ali sono composte da Levati-Gelmini II e Bortolini-Tavoni. Questi i due gironi eliminatori: “A”: Belgio, Francia, Germania Occ., Germania Orientale, Inghilterra, Portogallo. “B”: Italia, Norvegia, Olanda, Spagna, Svizzera. Jugoslavia. Le prima tre squadre dei due gironi disputeranno le finali”.

La rassegna continentale non porta fortuna agli azzurri. Lo squadrone del Portogallo – dal ’59 al ’67 dominatore assoluto nel Vecchio Continente – vince il titolo distanziando l’Italia di un solo punto (17 e 16). A far pendere la bilancia a favore della selezione lusitana è la sconfitta dei ragazzi di Bertuzzi contro la Spagna (1-2). Polemiche roventi accompagnano il secondo posto degli hockeisti tricolori. “Il dirigente federale col. Anzoli, poco prima che l’Italia scendesse un campo per misurarsi con la Svizzera nella serata iniziale dei campionati europei, ci disse: “Bosisio ha fatto gran festa alla maglia, prima di indossarla negli spogliatoi. Questo fatto mi ha commosso e con la mente mi ha permesso di fare un salto nel passato sino ai bei tempi della Nazionale, quando cioè chi vestiva la maglia azzurra si sentiva veramente onorato”. Secondo noi, però, per quanto riguarda l’attaccamento alla squadra nazionale da parte dei giocatori, nulla è cambiato. Tant’è vero che gli altri monzesi Bolis, Levati e Gelmini II hanno sostenuto non indifferenti sacrifici per una settimana, recandosi a Torino tutte le sere in macchina per riprendere il normale lavoro all’indomani delle gare cui avevano preso parte – sottolinea inviperito il fumantino Barzaghi – Va piuttosto rilevato che nell’ambiente della Nazionale non regna più l’adatta atmosfera. Si ha quasi l’impressione che taluni giocatori (e non per colpa loro) non appartenenti alla stessa società, si guardino un po’ in cagnesco. Non sappiamo, inoltre, se il C. T. Bertuzzi ha potuto svolgere il suo delicatissimo ed importante lavoro con tranquillità o se invece qualcuno si è permesso d’interferire”.

“Abbiamo poi sentito il dr. Franco Rio, allenatore del Modena e figlio del presidente della F. I. H. P. , lagnarsi con il segretario rag. Quaranta, al riposo della combattutissima contesa col Portogallo, perché Levati aveva sbagliato il rigore concesso a favore dell’Italia. Il trainer dei canarini sosteneva: “Quel rigore ci può costare la vittoria del torneo”. Come si il monzese lo avesse fallito apposta. Lo stesso personaggio pare che non sia stato troppo contento del comportamento di Gelmini e Levati (che nei primi venti minuti di gioco avevano messo a segno ben cinque reti) nel corso della partita col Belgio, perché al termine della stessa l’abbiamo visto precipitarsi negli spogliatoi degli azzurri con l’intenzione d’esporre il suo rammarico (forse perché Tavoni è rimasto a lungo in panchina). Non abbiamo ben capito perché Bruno Ive su “Stadio” di Bologna, all’indomani dell’incontro col Portogallo, abbia scritto: “Troppa gente, dirigenti di società più i meno qualificati a fine gara facevano i profeti fuori degli spogliatoi azzurri. A questi supertecnici improvvisati arrivati all’ultima ora il pareggio forse stona. Noi diciamo: dopo aver seguito il Portogallo e fin dalla prima giornata, il pareggio deve accontentare l’Italia. Infatti la partita coi portoghesi potevamo anche perderla e quindi sta bene che sia andata così”. A chi precisamente si riferiva? Del Monza, lo possiamo assicurare, nessun dirigente si è lamentato e nemmeno si è avvicinato agli spogliatoi”.

La partita col Portogallo si è conclusa con un nulla di fatto “perché l’arbitro belga De Groch ha commesso l’imperdonabile errore di fischiare il rigore (giustissimo) e dopo qualche secondo di cambiare opinione, assegnando – fra la meraviglia di tutti – il punto ai lusitani anche se la pallina non aveva varcato la linea bianca. La mancata vittoria degli italiani, in definitiva, è quindi scaturita dalla sfortuna, presentatasi sotto forma dell’arbitro. Nessuno, però, ci può proibire di sostenere che, molto probabilmente, se a Gelmini II ed a Levati fosse stato concesso di giocare più a lungo, malgrado le gaffes del direttore di gara, l’Italia avrebbe potuto imporsi. In questa contesa sono emersi oltre al solito Bolis, l’ala Bortolini ed il difensore Bosisio, autore di uno splendido goal che ha fatto impazzire di gioia i cinquemila spettatori. Anche contro la Spagna l’Italia è stata… assistita dalla malasorte. Dopo essere andata in vantaggio per merito di Bortolini, è stata raggiunta e quindi superata nel finale (mentre Bolis si trovava all’ospedale per l’infortunio subito a seguito di una “pallata” in viso) mediante una rete irregolare, realizzata col piede. Naturalmente nessuna colpa è stata attribuita al portiere di rincalzo Patrini, il quale anzi, con un’autentica prodezza, ha “proibito” agli spagnoli, allo scadere del tempo, di aumentare il vantaggio. Bolis è stato giudicato il miglior portiere del torneo (e quindi d’Europa) e pare che gli sia stato assegnato un simbolico premio”.

Passata la relativa buriana, la Federhockey “ha chiesto al sodalizio monzese se gli atleti Bolis, Villa, Bosisio, Bortolini e Pessina sono disponibili per partecipare ai prossimi allenamenti collegiali in vista dei campionati del mondo che avranno luogo in Cile. Levati e Gelmini II, già in occasione degli “Europei” avevano riferito al C. T. della nazionale di essere impossibilitati, per ragioni di lavoro, a trasferirsi per un periodo di 20 giorni in Sud America”. L’assurda trasferta è l’antipasto dei prossimi Mondiali di football, in programma nella Nazione cilena dal 30 maggio al 13 giugno 1962. Il Cile è un Paese allora poverissimo e alle prese con problemi esplosivi: dalla politica alle multinazionali imperanti passando dalle favelas alla prostituzione dilagante. Gli hockeisti sono invitati a servirsi – eufemismo – delle caserme delle Forze armate. Tutte le partite sono disputate al Palasport di Santiago. L’Italia – dopo esordito con l’Argentina (3-0) – pareggia per 2 a 2 contro la derelitta Germania e per 3 a 3 contro la Svizzera. Non basta sconfigge la Spagna (2 a 1) e impattare con il Portogallo (2-2) per conquistare il tetto del mondo: la classifica finale ricalca l’Europeo di Torino. Dopo l’inarrivabile Amedeo Boucos, capocannoniere con 20 gol, tra i portoghesi impressiona il giovanissimo Antonio Livramento. Sarà uno dei più forti fuoriclasse della storia dell’hockey su pista: e l’involontaria rovina dell’Hc Monza.

Rientrati alla base, i giocatori monzesi ritornano a sgobbare nei lavori di tutti i giorni. Giovedì 1 dicembre, riuniti in assemblea, “i soci dell’Hockey Monza hanno riconfermato in carica l’attuale Consiglio direttivo per il prossimo biennio. L’unica variante riguarda la sostituzione del dr. Alberto Zaffaroni che ha rinunciato al mandato essendosi trasferito a Milano per ragioni professionali. In vece sua è stato eletto il rag. Augusto Consiglio che però non ha accettato, così come hanno declinato l’incarico il cav. Pietro Fomia e il rag. Fortunato Villa. In ordine di votazione è così subentrato il cav. Giuseppe Sala, che è alla ribalta dello sport cittadino da mezzo secolo. Lunedì sera i componenti il C.D. si sono trovati per assegnare le seguenti cariche: comm. Luigi Gatti; vice presidente: dott. Angelo Rossi: consiglieri: Giandomenico Barzaghi (segretario sportivo), geom. Alberto Redaelli, Erminio Reina, Gigi Castoldi (presidente C.T.), cav. Giuseppe Sala. In veste di segretario general, non appartenente al C.D., è stato confermato il rag. Carlo Rovati. Il rieletto presidente ha subito fatto importanti dichiarazioni. Per quanto riguarda le varie squadre minori, rispetto agli anni scorsi, si avranno sostanziali modifiche circa l’organizzazione, la partecipazione a tornei e la direzione delle stesse. Ha pure riferito che a rappresentare l’Italia alla Coppa delle Nazioni (18-23 aprile 1962, Montruex) è stato scelto dalla Federazione l’Hockey Monza, essendo la squadra detentrice del titolo nazionale. In merito alla Commissione tecnica (composta da Gigi Castoldi, Luigi Kullmann e Sergio Morello), sarà tenuta una riunione nei prossimi giorni”. Altri tempi, altre tempre, altra Monza. Purtroppo.