Il tempo che passa non fa sconti a nessuno. La biblioteca civica e l’ufficio sport del Comune di Lissone affettano sbigottimento e sconcerto: Lino Mastellaro e l’Associazione pugilistica lissonese? Mai sentiti nominare. Pure la ricerca in rete spezza il sortilegio di una damnatio memoriae lacerante. Nomi volatilizzati nel tritacarne dei giorni, imprese dileguate senza una ragione apparente, prodezze strabilianti uccise dall’indifferenza dei più: eppure, negli anni Sessanta, Mastellaro e l’Apl hanno fatto la storia del pugilato brianzolo e – in piccolo – di quello italiano.
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Lino, agonistica addirittura spietato, non aveva – per sua sventura – il colpo del knock out: i suoi strepitosi successi sul ring avevano alle spalle allenamenti più che massacranti, micidiali. Esercitando ferocemente i muscoli, Mastellaro addestrava la mente a soffrire.
E’ stato l’irriducibile guerriero di una Lissone segaligna e scontrosa, capace di recuperare per tempo il primato mobiliere grazie ai sacrifici dei tantissimi fenomeni del legno annidati nelle botteghe del centro. E’ stato il campione senza macchia e senza paura di una generazione di sportivi da bar, capaci – comunque – di sobbarcarsi trasferte di centinaia di chilometri per sostenere il paladino della lissonesità. Vero senza infingimenti, Mastellaro era conscio della sua forza e delle sue debolezze. La sua morte assurda accelerava il declino dell’Apl. Priva del suo fuoriclasse, la Pugilistica lissonese sopravviveva a se stessa fino al consumarsi di una tradizione fatta di impegno, sacrificio e passione.
Medio proporzionale tra Padova e Venezia, Candiana vive di agricoltura maledicendo l’arcade che – in vena di smancerie – ha sfornato la bubbola del campo di Diana (Campus Dianae) per giustificarne la nascita. Assecondando la pretesa di Mussolini di creare nuove città di fondazione, nel ‘938 l’architetto Quirino De Giorgio crea in soli due mesi, in paese, casa del fascio, laboratorio di tessitura e filatura e borgo littorio, con 24 edifici rurali a contorno: qui, il 28 dicembre ‘938, nasce Lino. I Mastellaro sono una famiglia speciale: lavoro, preghiera e divertimento sono il rovescio di una stessa medaglia che rimanda diritta alla rettitudine. Lino cresce con questi modelli da squadernare: primo aiutare il prossimo, poi il resto segue da sé. Piccolo di statura ma ben costruito, il piccolo dei Mastellaro frequenta la scuola d’obbligo con profitto inversamente proporzionale alla esuberanza del puteo.
Assecondando l’estro innato per la musica, Lino – spinto dai genitori – s’iscrive a un corso di fisarmonica. L’orecchio sta, ritmo e cadenza arriveranno. L’insegnante si coccola l’allievo: mai avuto uno studente così portato per l’accompagnamento, ammette. In tre mesi soltanto, il ragazzino si rivela un virtuoso in sedicesimo. Superarti di slancio gli esami di idoneità, arriva pure il sospirato diploma di “fisarmonicista”. Il concerto di fine corso va in scena nella piazza principale del paese: tutta Candiana batte convinta le mani dopo lo spettacolo di tecnica e di maestria di Lino. Qualcuno si esalta e butta lì con convinzione: se va avanti così, Lino sarà il nuovo Gorni Kramer degli anni Sessanta. Ma le esibizioni non portano pane. Finita la cuccagna, il piccolo dei Mastellaro – che ha solo 14 anni – deve abbandonare le illusioni dell’adolescenza e trovare in fretta un’occupazione. Ammazzarsi di fatica per dissodare la terra non fa per lui. Meglio partire.
L’anno è il 1952. A Lissone, nella lontanissima Brianza, c’è da tempo la sorella di Lino: il tempo per acquistare il biglietto ferroviario per Monza e faccio subito la valigia, fa lui spavaldo. Mamma e papà ricacciano a fatica i stranguglioni e raccomandano il figlio a San Michele Arcangelo. Fai il bravo, telefona qualche volta e – soprattutto – manda a casa i schei. Dalla provincia padovana alla città il passo è lungo. Pure, Monza ha qualcosa che piace a prescindere: la civiltà del lavoro. A Lissone riabbraccia la sorella e subito assunto in uno stabilimento meccanico. Lino sgobba e sfacchina con la consapevolezza di essere un privilegiato. I brianzoli sono in gamba, rimugina, le brianzole di più. A 15 anni scatta la prima “cotta” della vita. Per scaricare l’adrenalina in surplus, Mastellaro – ponderato il rischio – si iscrive alla Pro Lissone. In città la “Pro” è una istituzione: di più, è una fede. Ma la ginnastica non fa per Lino: perché l’avversario supposto – il punteggio – spegne il sacro fuoco dell’agonismo. Esercizi e prestazioni senza sbavature, concesso: ma un minimo di contatto no? si chiede basito.
Ettore Perego cerca invano di distillare lo spirito della ginnastica a Mastellaro. Le sfuriate intemerate dell’ex olimpionico non hanno presa sul ragazzo di Candiana. Che, sotto sotto, preferisce l’universo parallelo dello scontro fisico alla rarefatta perfezione di un doppio salto mortale. Perego si stizzisce e perde il proverbiale aplomb: avesse ad imparare la creanza, sbotta l’istruttore. Lino abbozza ma non cambia idea. Il dialogo tra sordi produce una cosa: Mastellaro saluta insalutato ospite il club biancoblu e – dopo il lavoro – ritorna a suonare l’amata fisarmonica. Per smuoverlo dall’inglorioso fiasco con la “Pro”, gli operai più in confidenza buttano lì con nonchalance: Lino, perché non provi a tirare di boxe? Parere spassionato: hai il phisique du role per andare lontano. Mastellaro ringrazia per l’interessamento ma declina l’offerta. Ma i colleghi insistono e inzigano l’orgoglio del ragazzo: con un fisico così sei un pugile nato, esagerano un cicinino. Tanta è la curiosità e l’inconscia iattanza di Mastellaro che – varcati i cancelli dell’A.p.l.- l’incosciente chiede direttamente il “capo allenatore”.
Ernesto Ballabio un uomo di pochissime parole: vuoi tirare? Bon, vieni con me. Lino si sveste la tuta da lavoro e incomincia a incrociare i guantoni con l’istruttore dell’A.p.l.. Una settimana nel covo della “Lissonese” rivela ai viziosi del bordo ring un potenziale campione. Superato di slancio il provino, Mastellaro viene tesserato per la società del presidente Gino Casati. Per il ragazzo è una liberazione: dopo l’amaro tossico provato alla “Pro”, Lino trova comprensione e complicità dei sbrigativi boxeur dell’A.p.l. Sgrezzato e impostato dalla tenace pazienza di Ballabio, Mastellaro debutta come novizio contro il seregnese Brivio. Lino – poco convinto di essere pronto per il match – viene battuto ai punti dall’avversario dell’A.p.s. dopo otto riprese tiratissime. Il poulain dell’Associazione pugilistica lissonese – metabolizzato l’esordio infelice – infila vittorie su vittorie: perfino la Federazione incomincia a fare il callo di convocare il ragazzo per gli stage di Milano.
Mastellaro bagna il passaggio tra i dilettanti battendo ai punti un altro pugile della “Seregnese”, Zanetta. Poi, altra sequela di trionfi: tanto che, in 108 incontri da “puro”, Lino assomma 100 vittorie. Vice-campione italiano a Terni nel ‘958, piegato solo in finale da Francesco Musso, il piuma allenato da Ballabio viene pure battuto – in sede internazionale – da Radoslav Radovan nell’incontro Jugoslavia-Italia di Belgrado e da Iosif Mihalic a Roma (Italia-Romania, kg. 54); l’anno dopo, l’atleta di punta dell’A.p.l. si sbarazza a Bucarest di Emil Cismas e perde ai punti da Andrei Farkas a Cluj (Romania-Italia, kg. 57). Nel ‘960, Mastellaro conquista a Torino (17-21 febbraio) il titolo italiano dei 57 chilogrammi. Eliminati per strada Strano e Sezzatini, in semifinale il lissonese acquisito domina Franco Baldisseri e perviene alla finalissima, avversario l’osticissimo Giuseppe Linzalone. Con una tattica di gara spregiudicata, Lino doma il rivale e diventa campione tricolore.
Andata buca la chance olimpionica – ancora una volta stoppata dal solito Musso (6 giugno) – Lino ha le idee chiare: dominare il campo dei dilettanti è bene, ma il passaggio ai professionisti è meglio. “Mastellaro, che conta un gran numero di tifosi anche tra il pubblico monzese oltre che nella sua Lissone, è fresco del titolo italiano dei pesi piuma. Ottimo colpitore dovrebbe più facilmente esprimere il meglio di sé sulle distanze maggiori che non le tre riprese vigenti fra i dilettanti. La sua carriera professionistica non potrà dunque che essere brillante” pronostica Gigi de’ Molinari sulle colonne del Cittadino. A Seregno, nella riunione organizzata dall’A.p.s. al Cine Impero (12 ottobre), “magnifico il confronto che opposto il campione d’Italia Mastellaro a Ziino. Match impegnativo e duro per il lissonese che ci ha permesso di misurare il suo valore su un metro veritiero, sì che la classe, il temperamento ed il vigore fisico del ragazzo di Ballabio hanno potuto rivelarsi per intero e con bella evidenza – commenta Giulio Meroni – La serie, la scatto, la continuità, la stessa armonia dell’azione di Mastellaro, pur nella aspra cadenza delle riprese, hanno potuto farsi valere ed apprezzare. Se volessimo entrare nel difficile potremmo anche dire che, potenzialmente, il campione d’Italia possiede la gran classe”.
Chiuda l’esperienza dei dilettanti il 21 ottobre al Ponti di Monza, Mastellaro debutta nelle “sei once” il 16 novembre sul ring del Principe di Milano: Lino “sbarazza con estrema facilità del duro Marcolini, un guardia destra che ha già al suo attivo una trentina di incontri”. Il calvario dello spezzino “si protrae anche nel quarto round, ma per poco: frastornato da un terribile destro, assennatamente abbandona”. Una settimana dopo, a Monza, pure il francese Michel Barberon paga dazio alla superiorità schiacciante del lissonese: “il match, improntato sulla mezza distanza, ha visto i due pugili affrontarsi testa a testa, alla ricerca del colpo decisivo. In questa fase Mastellaro ha espresso il meglio di sé con rapidi e potenti ganci doppiati alla figura”. Per chiudere in bellezza l’anno, il 20 dicembre – al Ponti – Lino sfida il campione cubano Ramon Carrarach. Lino “parte subito con i suoi caratteristici ganci a mezza distanza e ben presto l’americano si trova in difficoltà. Inutile la sua sfuriata, per altro portata con colpi strani. Già groggy sul finire del primo round, poco dopo l’inizio del secondo, abbassando la guardia, si fa cogliere da un secco gancio destro che lo pone al tappeto per il conto finale”. Morale: “il lissonese è fortissimo e non vediamo oggi chi possa contrastare la sua travolgente marcia”.
Sbarazzatosi di Thevoz, Buck, Ali Belhout, Cardenas, Serti e Rings, Mastellaro viene sconfitto ai punti da Mario Sitri per la conquista del campionato italiano (28 agosto ‘961, Messina). Lino se la lega al dito: tanto che, il 7 dicembre dell’anno dopo, conquista il titolo tricolore a Roma battendo nettamente il solito Sitri. Il Comune di Lissone, domenica 6 gennaio ‘963, premia il pugile dell’A.p.l.: “Dopo le parole di encomio da parte del Sindaco (…) sono state date al pugile una pergamena-ricordo e una medaglia d’oro del Comune, una targa ed una medaglia da parte della Società Pugilistica ed una medaglia d’oro da parte della Società Pro Lissone”. In mezzo, lo sfortunato assalto al titolo europeo di categoria (22 giugno, Roma): Gracieux Lamperti sfanga verdetto di parità che non soddisfa più di tanto Mastellaro. Il ‘963 si apre con le chiare vittorie con Serrano (1 febbraio), Junior Cassidy (1° marzo), John O’Brien (5 aprile) e Biescas (10 maggio), tutti a Milano.
Il 5 dicembre difende con successo il titolo italiano contro Felice Becco: ma tutti gli occhi sono proiettati sull’incontro alla Empire Pool di Wembley che opporrà il campione in carica, il gallese Howard Winstone, e il pupillo del procuratore Barravecchia. Battuto ai punti l’argentino Hector Omar Oliva, il lissonese si presenta a Londra con le credenziali giuste per mettere in difficoltà il fortissimo puncher britannico. Il 12 maggio ‘964, sono diecimila spettatori che spingono il fuoriclasse di Penydarren, Merthyr Tydfil. Dalla prima ripresa, i due si picchiano di santa ragione. I colpi pesantissimi di Winstone devastano il viso di Lino. Fuori dei denti: è un massacro. Il gallese infligge una lezione devastante a Mastellaro. Un destro d’incontro infligge il primo conteggio per il lissonese (5ª ripresa); poi, arriva il sipario: un uno-due d’inaudita potenza piega definitivamente la resistenza del campione d’Italia (2’ dell’8ª ripresa). E’ una disfatta che segna il precoce tramonto di Mastellaro.
I colpi ricevuti da Winstone hanno fatto breccia nel morale e – soprattutto – della prestanza fisica di Lino. Il 16 ottobre, a Torino, perde il titolo tricolore a favore di Alberto Serti. Nel ‘965, il portacolori dell’A.p.l. deve aspettare l’11 ottobre – a Lissone – per assaporare una vittoria ai punti con il brasiliano Jose Gaetano Dos Santos. Inattivo per il ‘966, Mastellaro torna sul ring nel ‘967. I risultati sono inversamente proporzionali alle aspettative di partenza. Il 27 maggio ‘968, contro Luciano Pina, Lino vince l’ultimo combattimento di fronte al pubblico della sua città. L’ultima comparsata data 30 maggio ‘970, a Grosseto: Enrico Barlatti liquida l’ex campione italiano in soli quattro round: l’entourage di Mastellaro – pur di risparmiare un’altra cocente sconfitta – getta la spugna adducendo un taglio alla testa. Ritiratosi dalle scene pugilistiche, Lino Mastellaro muore il 18 dicembre ‘976 in un incidente di macchina a Treviglio. Restano le asettiche statistiche – 30 combattimenti vinti (10 prima del limite), 16 persi (7 prima del limite), 5 pareggi – a rappresentare la grandezza del ragazzino di Candiana, lissonese per scelta e per passione.