Monza e il capolavoro di BorghiAll’asta la Chioma di Berenice

Martedì Sotheby's batte la scultura presentata nel 1878 all'Expo universale a Parigi. È valutata intorno ai 400mila euro. Lo studio in gesso e un bozzetto sono conservati ai Musei civici di Monza e in una collezione privata in città.
Monza e il capolavoro di BorghiAll’asta la Chioma di Berenice

Monza – Era il primo maggio del 1878 quando a Parigi si aprirono le porte dell’Esposizione universale. Di qua e di là della Senna, in una Paname lontana dall’espansione urbanistica di oggi: con il Campo di Marte che non conosceva ancora la Tour Eiffel, si specchiava nel nuovo Trocadéro e che, per la prima volta, guardava in faccia la statua della libertà, la cui testa progettata da Bertholdi era stata esposta nei padiglioni di fronte agli Invalidi. C’era anche l’Italia, a quell’Expo. E c’erano la sue sculture. Una, una soltanto, richiamò senza riserve l’attenzione dei critici. «Un prodigio» scrisse Charles Blanc: «Il corpo della statua è di una bellezza così perfetta che la si direbbe modellata sulla più bella ragazza di tutta Italia».

Non sappiamo chi fu la musa di Ambrogio Borghi, ma la sua Chioma di Berenice, a 133 anni dal successo parigino, torna in vendita: sarà il pezzo di maggiore valore nell’asta che la casa Sotheby’s ha preparato per martedì prossimo, il 17 maggio, quando saranno battuti 116 capolavori della scultura europea dei secoli XIX e XX. L’opera dello scultore milanese sarà il lotto più ricco dell’intera sessione, una valutazione compresa tra i 345mila e i 459mila euro la cui documentazione è passata anche da Monza. È in città che si trova il suo studio preparatorio: lo conservano i Musei civici ed è stato proposto al pubblico tra ottobre e gennaio, in occasione della mostra “Sacro e profano”. Ed è peraltro in città, in una collezione privata, che si conserva un altro bozzetto. Gli esperti di Sotheby’s nei mesi scorsi hanno fatto visita al Serrone per completare la genealogia del capolavoro e preparare l’asta.

Da quel 1878 le tracce del destino di Berenice sono abbastanza definite. Il marmo di Borghi – quasi due metri di altezza con il piedistallo – venne venduto per la prima volta in un’altra asta successiva all’Expo della Senna, da parte di Alexandro Rossi (a destra, una stampa dell’Expo parigino con il nuovo Trocadéro), che mise all’incanto sessanta sculture presentate all’evento parigino. «La più bella forma femminile, viva e pulsante, mai uscita da un blocco di Carrara», scriveva il catalogo di allora. La successiva vendita è datata 1904, quando una parte della collezione Somzée venne messa ancora all’asta: l’opera finì nella mani di monsieur Rouleau, che stava costruendo la propria casa a Bruxelles e che progettò una sala proprio per contenere il lavoro di Borghi. È lì che è rimasto nel secolo successivo, fino alla sua riscoperta quest’anno, alla sua messa all’asta e alla casuale concomitanza con l’esposizione del lavoro preparatorio a Monza.

Il bozzetto ha seguito un percorso differente: nelle mani degli eredi dello scultore per decenni è entrato a far parte del patrimomio pubblico cittadino nel 1937. Erano anni diversi, evidentemente. E lo dimostra il fatto che nel 1952 Milano decise di investire in cultura acquistando la pietà Rondanini di Michelangelo. Monza – per scelta dell’amministrazione comunale del podestà Ulisse Cattaneo – aveva progettato negli anni Trenta una gipsoteca poi mai realizzata. All’appello istituzionale le risposte arrivarono: come quella dalla famiglia Borghi, che donò alla città una serie di gessi, compreso lo studio della Chioma di Berenice.

Una carta fortunata, quella toccata a Monza. Borghi – che forse non arrivò mai alla piena maturità artistica per la morte a soli 38 anni – era stato uno dei più apprezzati scultori della sua epoca. Tra i suoi allievi a Brera si conta anche Medardo Rosso, capace poi di contendere a Rodin il ruolo di fondatore della scultura impressionista. Era nato nel 1848 e dal 1861 era stato l’astro nascente dell’accademia di belle arti, al punto di meritarsi la cattedra di modellato già a 32 anni. L’astro nascente divenne una meteora: sei anni dopo, appena vinto l’incarico per realizzare la statua di Garibaldi a Milano, morì. Di una produzione non particolarmente vasta restano alcune sue opere a Monza – forse nemmeno tutte note – e un capolavoro in marmo che martedì passerà di nuovo di mano. Quasi certamente, mani private.
Massimiliano Rossin