Monza – Che a Monza ci fosse venuto, anzi tornato a dirigere il San Gerardo (ci era già stato dal gennaio ’95 al marzo ’96) di controvoglia e malavoglia non aveva fatto mai mistero lui stesso. Ma le dimissioni di Francesco Beretta, 66 anni, dall’incarico di direttore generale dell’Azienda ospedaliera San Gerardo che avrebbe dovuto ricoprire sino al 2015 (salvo verifiche a fine 2013) hanno in ogni caso colto tutti di sorpresa, dentro e fuori l’ospedale monzese. Soprattutto perchè, date con una lettera genericamente indirizzata al neogovernatore della Regione Lombardia addirittura prima del voto del 24 e 25 febbraio scorsi.
Certo quel voto, che ha visto il trionfo di Roberto Maroni, leader incontrastato della Lega, in ogni caso avrebbe significato la fine dell’era di Roberto Formigoni, il governatorissimo cui Beretta era legato da sempre ed al quale doveva la sua lunga carriera iniziata come responsabile dell’ufficio di igiene in quel di Seregno negli anni ’70 e arrivata al top negli anni ’90 con il ruolo di direttore generale della sanità lombarda. Entrambi aderenti a Comunione e Liberazione hanno anche vissuto per quattro anni nella stessa casa quando Beretta faceva parte dei Memores domini. Anche se il legame tra i due ha evidenziato negli anni più di una incrinatura.
Nelle scorse settimane infatti sono trapelati i contenuti di interrogatori nell’ambito dell’inchiesta della magistratura milanese su San Raffaele e Maugeri, strutture sanitarie private, che vede Formigoni indagato per corruzione. Ebbene, Beretta, interrogato proprio come ex direttore generale della sanità lombarda, ha amesso che «vi erano decisioni assunte dal presidente alle quali bisognava trovare soluzioni tecniche che garantissero il risultato, cioè che consentissero di erogare all’ente richiedente la somma richiesta. L’esempio del San Raffaele è evidente». Lo stesso Beretta ha inoltre raccontato come avvenne nel 1996-1997 la nomina del suo successore ai vertici della sanità regionale: «Manifestai a Formigoni la mia sorpresa aggiungendo che secondo me il mio naturale successore era Fazzone, competente e di esperienza. Formigoni mi disse che non si fidava di Fazzone e che preferiva nominare Botti, il quale gli era stato segnalato da Daccò».
Ovvero Piero Daccò, il faccendiere finito in carcere per aver fatto arrivare, secondo l’accusa, a San Raffaele e Maugeri 400 e 200 millioni di euro in una decina d’anni in modo del tutto discrezionale. Va altresì ricordato che a nominare Beretta direttore generale della sanità lombarda era stato l’allora assessore della stessa sanità Antonio Simone, ciellino doc a sua volta, poi travolto da Tangentopoli e finito di nuovo nei guai, e soprattutto in carcere, l’anno scorso proprio come sodale di Daccò nell’affaire Maugeri. Un arresto, quello di Simone, che ha suscitato non poche discussioni all’interno dello stesso movimento di Comunione e Liberazione.
La nomina a Monza nel dicembre del 2010 (la spartizione delle direzioni di ospedali e Asl tra presidente e assessori in Regione è quasi sempre avvenuta sotto Natale, in qualche caso addirittura alla vigilia, tra panettori e spumante) Francesco Beretta, che dirigeva gli Istituti Clinici di Perfezionamento a Milano (quattro ospedali e svariati poliambulatori), l’aveva presa come una rogna: c’era da prendere il posto di Giuseppe Spata, mitico direttore generale prima a Vimercate (dove aveva costruito in quattro e quattr’otto il nuovo ospedale) e poi a Monza, fatto fuori con la porcata dell’innalzamento del «suo» limite di età. C’era soprattutto da mettere in moto il progetto di ristrutturazione dell’ospedale (il nuovo, sic!, come l’hanno sempre definito i monzesi), un business da più di 200 milioni di euro gestito da Infrastrutture Lombarde spa il «braccio operativo» della Regione per le grandi opere pubbliche guidata dal potentissimo Antonio Rognoni, pure lui di Cl, che già cura la regia dei lavori in Villa reale.
Un progetto che proprio Spata aveva avversato in tutti i modi, sostenendo che si sarebbe potuto spendere meno della metà ed evitare un cantiere della durata prevista di almeno sette anni tra corsie e sale operatorie. Ed è molto probabilmente la prospettiva di dover gestire il cantiere che si dovrebbe aprire l’estate prossima con inevitabili malcontenti e proteste di medici, personale ospedaliero, pazienti e familiari, sindacati, amministratori e politici locali, ad aver spinto Beretta a gettare la spugna anzitempo, unitamente alla constatazione che, Ambrosoli o Maroni, chiunque avesse vinto, la sua lunga stagione di «manager» era alla fine insieme a tutto il sistema, peraltro sempre più discusso e discutibile creato dal Celeste.
Ma le dimissioni di Francesco Beretta non solo aprono il problema della sua successione, ma potrebbero essere solo l’inizio di un totale ridisegno del risiko della sanità in Brianza già tormentata di suo negli ultimi anni. Infatti per il San Gerardo ci potrebbe essere la prospettiva di un clamoroso ritorno di Giuseppe Spata, avvicinatosi ai lumbard già prima della sua defenestrazione da lui sempre imputata proprio ai ciellini. Spata al momento sta concludendo la sua esperienza di subcommissario alla Regione Lazio, cui l’aveva chiamato l’allora ministro del governo Berlusconi, Ferruccio Fazio (indicato anche tra i papabili all’assessorato alla sanità nella giunta Maroni) per tentare di porre argine al disastro della sanità di quella regionale.
Un ritorno di Spata significherebbe la riapertura, ove possibile visto che l’appalto è stato già assegnato, del progetto per il San Gerardo. Spata aveva già buttato nel cestino il master plan in proposito predisposto dal suo predecessore Ambrogio Bertoglio, altro ciellino caduto però stranamente in disgrazia presso Formigoni. Il nuovo corso della politica sanitaria regionale, quand’anche l’assessore alla sanità diventasse, oltre che vice di Maroni, Mario Mantovani, coordinatore regionale del Pdl, potrebbe interessare poi l’Asl di Monza dove dal settembre scorso è arrivata come direttore generale Maria Cristina Cantù, considerata molto vicina a Bobo Maroni, il neo governatore, tanto da essere soprannominata la «lady leghista» fin dai tempi in cui guidava l’Asl1 di Milano.
Una gestione la sua molto chiacchierata e non solo per gli scontri proprio con i vertici, ciellini, della sanità del Pirellone. La Cantù, che aveva scambiato la direzione dell’ospedale di Gallarate dove era stata in qualche modo confinata con Humberto Pontoni, manager di origini argentine e pure in quota Lega che a Monza era arrivato a fine 2010, viene ora indicata come probabile direttore generale della sanità lombarda, prendendo il posto di quel Carlo Lucchina, potentissimo e fidatissimo e inguaiatissimo uomo del sistema, al tramonto, di Formigoni, e con il quale aveva avuto scontri furenti. O addirittura come assessore al welfare nella giunta di Maroni.
Per la struttura dell’Asl brianzola sarebbe dunque un ulteriore scossone dopo il clamoroso licenziamento, dieci anni orsono, di Palmiro Boni per problemi di bilancio, cui era seguito il lungo regno di Pietrogino Pezzano a sua volta finito nei guai per le frequentazioni con boss della ‘ndrangheta (arrestati e condannati nell’operazione Infinito) e per i suoi legami con Massimo Ponzoni e Rosario Perri (sotto processo per la cricca) in quella che era stata definita la «P3» di Desio. Successivamente spostato all’Asl1 di Milano (quella della Cantù), Pezzano era stato costretto a lasciare l’incarico da un voto in proposito espresso a maggioranza dal consiglio regionale proprio per i suoi legami con la criminalità organizzata.
Ma nemmeno l’altra azienda ospedaliera del territorio, quella di Desio-Vimercate o di Vimercate-Desio così denominata a seconda dei rispettivi abitanti e politici locali, potrebbe sfuggire ad un ennesimo giro di poltrone (non va dimenticato che quando cambiano i direttori generali poi spesso mutano anche altri ruoli chiave a partire dai direttori sanitari, amministrativi etc.). A guidarla è attualmente Pietro Caltagirone nominato alla fine del 2011 in sostituzione di Paolo Moroni finito, non s’è mai capito perchè, a Melegnano dopo un solo anno di direzione. Caltagirone, a sua volta assai chiacchierato per guai giudiziari del passato, è da tempo in aperto contrasto con sindaci ed esponenti politici, soprattutto della Lega nord, a motivo della gestione dell’ospedale di Giussano a rischio di smantellamento e chiusura.
Lo stesso presidente dell’assemblea dei sindaci dell’Asl, il leghista Giacinto Mariani, primo cittadino di Seregno, non risparmia elogi alla direttrice Cantù e al contempo dichiara apertamente che vedrebbe bene la sostituzione di Caltagirone oltre che di Beretta, che però ha già tolto il disturbo. Non va dimenticato infine che la stessa azienda ospedaliera Desio-Vimercate o Vimercate-Desio ha già avuto una travagliata direzione con Maurizio Amigoni, sempre un ciellino, (che pure aveva inaugurato il nuovo ospedale ereditato da Spata) che è indagato in una maxinchiesta a Lecco sul teleospedale, un sistema di tangenti per l’assegnazione di appalti per l’installazione e la gestione di un canale televisivo a circuito chiuso negli ospedali lombardi.
Amigoni è stato inoltre interrogato nell’ambito dell’inchiesta San Raffaele-Maugeri e, pur essendo stato amico di gioventù di Formigoni, come ex direttore generale vicario della sanità lombarda ha rivelato ai magistrati, come Beretta, che era il governatore a dettare legge e ordine in materia. Le prossime settimane dunque potrebbero portare ad un vorticoso valzer di poltrone e poltroncine in uno scacchiere quanto mai cruciale come quello della sanità monzese e brianzola. La quale peraltro avrebbe bisogno di un totale ridisegno di ruoli e funzioni, ivi comprese le strutture private accreditate, che vada di pari passo con la scelta di persone capaci e competenti al di là e prima di qualsiasi appartenenza politica. I sette consiglieri regionali eletti in Brianza hanno qualcosa da dire in proposito? Pensano di fare qualcosa? Speranza e/o illusione?
Luigi Losa