Niente dice che Leonardo da Vinci sia passato da Monza. Niente vieta di pensare che, nonostante non ci siano testimonianze storiche, ci sia passato. Perché se ha frequentato Trezzo, se ha servito la corte di Ludovico il Moro, allora è facile credere che quel pezzo del dominio lo abbia visto, conosciuto, frequentato. E se lo ha fatto, ha vista una Monza differente. Bisogna fare così: piazzarsi di fronte al palazzo Frette, quello che oggi ospita la Rinascente, e immaginarsi un castello.
Non ne rimane niente, quasi niente, poco per immaginarselo davvero. Ma l’archeologo Stefano Pruneri ha individuato tutto quello che occorre per provare a crearlo di nuovo, almeno sulla carta. È il castello visconteo che i monzesi hanno minato volendo mettere fine a decenni di sopraffazioni vissute dentro i forni, la torre delle prigioni in cui come in una fornace si veniva calati dall’alto da una botola per non avere mezzi e possibilità per uscirne. Oggi ne resta soprattutto un nome un po’ laterale e collaterale: piazza Castello, che rappresenta uno spazio urbano che era soltanto affacciato sull’edificio che ha rappresentanto il potere della signoria milanese sul territorio.
Lo studio dell’archeologo sarà presto un libro: il volumetto sarà presto in alcune librerie della città (il Cittadino ne segnalerà la diffusione non appena disponibile). Il titolo è “Monza. Dal castello Visconteo al palazzo della Rinascente” ed è una attenta ricostruzione della storia e della struttura dell’imponente struttura che gettava le fondamenta al confine sud di Monza, verso Milano.
Pruneri ha indagato quanto resta, ha raccolto le testimonianze storiche, ha incrociato i dati a disposizione e ha perimetrato a distanza di sette secoli com’era fatto il castello, sovrapponendolo a quello che si vede oggi. Il risultato è un’esercizio di immaginazione ben ancorato alla realtà. Basta guardare le mappe: il presente racconta il palazzo della Rinascente che è quanto nato sugli stabilimenti Frette, a loro volta figli di palazzo Durini, il progetto che ha sostituito e impegnato gran parte del sedime del castello.
Eccolo rappresentanto nella mappa: stando agli studi dell’archeologo bisogna partire dal Lambro che ancora oggi corre alle spalle della Rinascente. Lì si trova una torre, che è quanto resta di una delle torri che puntellavano il castello. Una delle minori, in realtà: una torre con ponte levatoio che serviva da uscita ed entrata alle spalle della struttura, con mensole di appoggio del ponte ancora visibili. Al tempo il fossato portava l’acqua del fiume di Monza attorno al castello due volte: una per circondarlo più o meno a fianco dell’attuale via Azzone Visconti, per poi girare a largo Mazzini di fronte al palazzo Frette quasi all’altezza di via Italia e quindi curvare a 90 gradi verso il retro, attraversando l’attuale giardino (invisibile ai più) delle Sacramentine. Un fossato più ridotto girava dentro l’area circondando l’attuale torre di destra (guardando di fronte l’edificio) dell’attuale Rinascente): l’estrema difesa della città.
Lì si trovava infatti la Rocchetta, l’edificio militare del castello di Monza, che includeva l’enorme torre dei forni, le prigioni di Monza. Due i collegamenti verso l’esterno:una la porta di soccorso, un’uscita di emergenza, per così dire; l’altra l’atrio sulla porta principale del castello. Il secondo fondamentale edificio era la Cassinazza, la Cascinazza – nulla a che spartire con l’area delle polemiche che ha accompagnato tanti anni della vita amministrativa e politica della città.
Oggi in buona parte si troverebbe appunto nelle proprietà delle Sacramentine, come dimostrano le immagini realizzate da Pruneri. Era la parte nobile dell’edificio, una stecca lunga che dall’attuale torre di sinistra della Frette arrivava fino al Lambro, in fondo. Il castello (ça va sans dire) aveva le sue torri: la torre Manganella al termine della Cassinazza, la Torre dei Mulini sul lato opposto (oggi sarebbe in mezzo ai binari della ferrovia), la Torre dei forni già vista e una Torre a nord ovest, in corrispondenza della torretta di sinistra della facciata della Rinascente. Tra Cassinazza nobile e reparto militare della Rocchetta, la piazza d’armi, che occupa l’attuale parcheggio della Rinascente e una parte ulteriore.
Nel 1590 – scrive l’archeologo Stefano Pruneri – un’inchiesta sugli interventi di demolizione delle strutture del castello di Monza, avviata dall’Ufficio delle Monitioni et Lavoreri della Regia e Ducale Camera di Milano, stabilì che “le travi del salone del castello e tutti i ferramenti delle aperture erano stati venduti a partire dal 1556, che le mura e due torri erano state parzialmente demolite, che i materiali così ricavati erano stati venduti a diverse famiglie monzesi”. Le macerie rimaste nell’Ottocento, come noto, sono poi state utilizzate per recintare il parco. Si deve arrivare al 1814 per il progetto di palazzo Durini.
A margine: non ci sono solo i resti alle spalle dell’ex Frette. Nei sotterranei della Rinascente si conservano mura del castello dello spessore di due metri, il fronte “di tramontana” delle mura del palazzo della Cassinazza.
L’ingresso del castello di Monza corrisponde a grandi linee all’attuale fontana di largo Mazzini.
Prima di Pruneri lo studio fondamentale della storia del castello risale a Luigi Zerbi, pubblicato in due fascicoli de giornale dell’Archivio storico Lombardo nel 1892. L’anno di nascita dell’impianto simbolo del potere di Visconti e Sforza risale al 1325, ma già nel XVIII secolo le incisioni lo raccontano come un rudere: il suo periodo di splendore risale quindi agli anni compresi tra il 1400 e il 1500, quelli di Leonardo da Vinci alla corte milanese.
In quegli anni doveva comparire come lo racconta Pruneri nelle sue ricostruzioni. Una struttura maestosa e terribile, per tanti versi, dal momento che la Torre dei forni doveva superare i 40 metri di altezza e oggi sarebbe quasi la struttura più di Monza, fatta eccezione per il campanile del duomo.
Nonostante nel 1807 le rovine dei Forni erano ancora presenti, come documentano alcune testimonianze e incisioni, la distruzione del castello inizia presto. Esiste un documento datata 21 luglio 1525, scrive Pruneri, “relativo alla convenzione stipulata tra il supremo cancelliere ducale Girolamo Morone e i rappresentanti della comunità di Monza “per ruinare il castello d’essa terra”. Insomma: quel giorno che forse passò, Leonardo è stato uno degli ultimi a vedere il castello integrale.