1943: la scelta di Giovanni Battista I settant’anni del partigiano Stucchi

Giovanni Battista Stucchi nel 1943 tornava dalla Russia a Monza e decideva di diventare partigiano. Sono passati settant’anni. Oggi, 25 aprile, festa della Liberazione, le sue parole all’arrivo in città: «Tutto mi appariva tal qual era in passato, tutto procedeva sotto la opprimente cappa dello squallore e della rassegnazione».
Giovanni Battista Stucchi con Sandro Pertini
Giovanni Battista Stucchi con Sandro Pertini

«Non è che mi aspettassi di trovare un popolo in rivolta, ma di udire almeno qualche voce risoluta che, a costo di rischiare il carcere, si levasse dal malcontento generale a reclamare la cessazione della carneficina e a invocare la fine del fascismo che ne era all’origine. Invece tutto mi appariva tal qual era in passato, tutto procedeva sotto la opprimente cappa dello squallore e della rassegnazione».

Ed era Monza, Monza che usciva a pezzi come il resto d’Italia dal ventennio fascista, Monza che almeno qualche sporadico virus della rivolta riusciva a sentirsi in corpo. Era Giovanni Battista Stucchi a scrivere quelle parole, a guardare una città rassegnata al destino di miseria e dittatura cui sembrava condannata. Monza come l’Italia.

Maggio 1943: Stucchi come pochi altri tornava frantumato dalla campagna di Russia e aveva scelto là, in mezzo alla fame e alla miseria, cosa sarebbe stato necessario fare. «Da quando eravamo usciti dalla sacca, avevo avuto tempo e modo di riflettere sul mio futuro – riferiva qualche anno fa Renato Pellizzoni dell’Anpi Lissoni per il sito arengario.net – Come spesso accade a coloro che hanno camminato a lato della morte e si sono poi trovati al di qua del pericolo, vedevo tutto chiaro, sapevo che la lunga marcia non era finita, che il ritorno alla mia casa altro non sarebbe stato che una tappa dopo la quale avrei ripreso la strada, questa volta di mia volontà. Se molti nodi restavano da sciogliere, molte le ingiustizie da riparare e i delitti da punire, non sarei rimasto questa volta a spiare attraverso le persiane, avrei bensì continuato a camminare fino a raggiungere quella meta che non era solo la mia meta, ma quella dell’intero popolo a cui appartenevo: libertà di tutti e giustizia per tutti in una Patria che fosse la sintesi della parità dei diritti e dei doveri tra cittadini e non l’espressione dell’egoismo nazionale e, meno che mai, la somma degli egoismi dei gruppi di potere».

La scelta di Giovanni Battista nasce lì, nel 1943, esattamente settant’anni fa, mese più, mese meno. Così come sessanta ne sono passati dalla sua elezione al parlamento nel 1953. Le immagini sono due: quella in bianco e nero di lui a capo chino, una sigaretta in bocca, la barba sfatta, un cappello di fortuna in testa dopo la battaglia di Nikolaevka in Russia. Oppure quella sbarbato, gli occhiali, la testa calva, il fazzoletto al collo, quasi identico all’uomo con lo pipa che lo affianca: Sandro Pertini. Ecco chi è stato Stucchi, monzese, nato il 9 ottobre del 1899, morto nel 1980. Sono passati settant’anni dalla scelta di Giovanni Battista.

Poi sarebbe scappato ai tedeschi forse ancora con la divisa da alpino (con le medaglie al bavero, così come la piccola figlia Rosella aveva le sue guadagnate a scuola quando è andata ad aspettarlo alla stazione di ritorno dalla Russia), si sarebbe unito ai partigiani dalle parti di Sondrio, da membro del Partito socialista italiano avrebbe preso posto nel Comitato di liberazione nazionale. Due anni di clandestinità che sempre arengario.net ha raccontato con affetto, prima di vederlo sfilare in una foto diventata icona della Liberazione nazionale – celebrata il 25 aprile – al fianco di Argenton, Parri, Cadorna, Longo, Mattei. Aveva preso il posto di Pertini, nel ‘45, nel comitato che aveva liberato l’Italia, avrebbe poi continuato a rispettare il suo impegno civile tutta la vita, anche come consigliere comunale a Monza.

Nel 1983, tre anni dopo la sua morte, trent’anni fa, la figlia Rosella ha pubblicato le sue memorie degli anni della Resistenza: “Tornim a baita – dalla campagna di Russia alla Repubblica dell’Ossola”, pubblicato da Vangelista. E’ sepolto nel campo della gloria del cimitero di Monza, casomai qualcuno volesse passare a trovarlo. Parlando magari di quel giorno in cui era tornato a Monza, si era aspettato di trovare non tanto una città in rivolta, ma almeno qualche «voce risoluta», mentre aveva trovato una città «sotto la opprimente cappa dello squallore e della rassegnazione».