Filippo Viganò è il neoeletto presidente del Csv, Centro di servizio per il volontariato di Monza e Brianza. Medico, ex sindaco di Albiate, già presidente del Consiglio di rappresentanza dei sindaci dell’Asl (2004-2009), attualmente guida l’Associazione volontari Sovico. Ecco l’intervista
«Una premessa fondamentale: sto imparando. Mi sono dato un mese di tempo; a fine gennaio, primi di febbraio, saremo operativi. Ora devo apprendere, umilmente». Eppure, nonostante la doverosa fase di studio e conoscenza, Filippo Viganò, neoeletto presidente del Csv, Centro di servizio per il volontariato di Monza e Brianza, ha le idee molto (molto) chiare.
Inevitabile per chi di volontariato, comunità e territorio si è sempre occupato. Medico, ex sindaco di Albiate, già presidente del Consiglio di rappresentanza dei sindaci dell’Asl di Monza e Brianza (2004-2009), attualmente presidente dell’Associazione volontari Sovico, Viganò guiderà il Csv per i prossimi tre anni.
Ascolto dei bisogni del territorio, partecipazione e condivisione le sue linee da sempre, a prescindere dal ruolo. Insomma, la comunità, o meglio, il fare comunità, viene prima di tutto. «Vorrei tanto che in Brianza si parlasse di sostegno di vicinato e non di controllo di vicinato, come va di moda oggi. Penso a una sorta di volontario diffuso, questo sì che può fare la differenza», rimarca subito. Viganò si riferisce a quella sorta di mutuo-aiuto che funzionava bene una volta. Insomma, una Brianza che valorizza il suo senso di comunità, anche oggi è possibile. Le regole sono sempre due: «Regola numero uno, non sprecare tempo; regola numero due, fare le cose bene».
Presidente, per i prossimi tre anni sarà alla guida del mondo del volontariato di Monza e della Brianza. Quali saranno le sue linee guida, quali le urgenze?
«La volontà è quella di sostenere tutto il comparto, anche le associazioni più piccole. E, perché no, trovare il modo per facilitare l’accesso al volontariato anche di coloro che non sono legati in modo continuativo a una realtà. Insomma, raccogliere tutto ciò che di buono c’è negli altri. Il Csv deve creare il terreno di raccolta di tali generosità e orientare chi vuole fare qualcosa per gli altri. La sfida non è facile. Serve regolamentare il volontario “mordi e fuggi”, che pur è utile e potrebbe essere gestito con voucher assicurativi a ore. Dal punto di vista operativo, tre sono le cose importanti per Csv: la messa in rete, il supporto e la necessità di farsi conoscere, ancora di più. Creeremo una struttura del direttivo per definire il programma di questi tre anni. Penso a intensificare il legame con l’Ufficio scolastico territoriale, e soprattutto con l’Università e a crediti formativi attraverso il volontariato, come percorso di accrescimento».
Lei è medico e ha rivestito ruoli istituzionali importanti. Cosa porterà a Csv della sua esperienza come amministratore locale e come operatore nel comparto sanitario?
«Da sindaco, ma anche in altri ruoli istituzionali, ho visto il valore, e la necessità, di unire tante piccole esperienze. Solo lavorando insieme è possibile puntare all’efficienza, pur con scarse risorse. Il segreto è proprio quello di mettersi in rete, anche dal punto di vista informatico. Questa è una necessità per le associazioni. Come medico, invece, mi sento di rimarcare che siamo in un momento di transizione. E mi riferisco alla riforma socio-sanitaria della Regione Lombardia, dove il volontariato è stato poco valorizzato. Come Csv è necessario far sentire la nostra voce. Serve un tavolo di concertazione sui temi più delicati come, ad esempio, il trasporto di dializzati o di persone sottoposte a chemioterapia».
5 dicembre, Giornata mondiale del volontariato; 4 ottobre, prima Giornata nazionale del dono. Quanto sono importanti questi momenti? Non sono forse più incisive altre forme di coinvolgimento? Queste, di fatto, sembrano occasioni solo per gli addetti ai lavori.
«Questo è un tema significativo. Ho una certa allergia ai convegni in cui ci si auto-celebra, ad esempio. Sono più per i convegni che si concludono con un protocollo d’intesa. E quindi puntano subito all’operatività. Le giornate servono, ma poi sono fini a se stesse. Preferisco formule tipo la Settimana del solidarietà, dove per sette giorni si concentrano le raccolte fondi, gli incontri con le scuole. Si potrebbe pensare anche per la Brianza. Il problema è avere risorse economiche e umane per poterlo fare».
Fare rete è già tra degli obiettivi prioritari dei consulenti della Csv. Quali difficoltà? Quali urgenze?
«Si sperava che la crisi fosse un volano per aiutare a fare rete, ma ci sono aspetti culturali profondi che allontanano questa prospettiva, che invece dovrebbe essere naturale. Spesso i volontari si sentono o di serie A o di serie B. Compito del Csv è anche far capire che questa cosa non deve esistere. La necessità e l’auspicio è quello di mettersi in rete su obiettivi specifici, pur mantenendo la propria identità. C’è un limite quando il numero delle associazioni è troppo basso, ma anche quando c’è troppa frammentazione. L’urgenza attuale è il comparto della famiglia, o meglio, delle vulnerabilità della famiglia». Si può partire da qui.