Cinque code una in fila all’altra per fare un solo vaccino. Che in totale fanno un’ora e mezza di attese varie e indiscriminate e un’altra mezz’ora di pratiche, iniezione, attesa per evitare gli “eventi avversi”, come raccontano i protocolli pubblici.
Cronaca di un martedì sera (il 4 maggio) all’ospedale di Vimercate. Dove tutto lascia intendere – data la cordialità e l’efficienza del personale – che il problema forse sta a monte, nelle troppe prenotazioni garantite nello stesso orario dal sistema regionale. Passo a passo, giusto per non perdersi: una prenotazione per un ultra 70enne fatta a tempo debito, fissata per il 4 maggio dopo la scelta fatta sul portale regionale (quello affidato da Poste, che funziona perfettamente, di suo) fra tre o quattro opzioni. E allora martedì 4 maggio, ore 18.05, l’orario consigliato in una fascia che va dalle 18 alle 19.
Cinque minuti di anticipo, giusto per non perdersi nulla. All’ingresso, un volontario dell’associazione carabinieri che un po’ smista, un po’ prova la temperatura (non sempre), un po’ ascolta pazientemente tutti. “Prima dose? Aspetti qui, allontanatevi tra di voi, per favore”. “Seconda dose? Prego, vada là in fondo”. Un po’ di attesa, un po’ di calca che va rarefacendosi di volta in volta come in una marea a ogni appello all’ingresso.
Un quarto d’ora fuori, poi dentro, ore 18.15: accomodati tutti alle poltrone del Cup, a sinistra dell’ingresso. Dove già c’è una folla paziente, mai spazientita, ad attendere. L’ultra 70enne si siede. Guarda di fronte. “Aspettate da molto?” chiede alla signora che si trova già alla sua poltroncina blu. “Siamo qui per il turno delle 17.05”. Occhio fisso. “Davvero?”. Sì, risponde la donna accompagnata dalla figlia: un’ora di ritardo abbondante.
Il tempo scorre: passano gli addetti dell’ospedale, perfetti nel loro ruolo accomodante e tranquillizzante, e di volta in volta chiedono: “senza alzarvi, chi è del turno delle 17.05?”. Le braccia si alzano. La scena si ripete di cinque minuti in cinque minuti. Nel frattempo, di volta in volta, la transumanza: “Quelli delle 17.05”. “Chi è delle 17.10”. “Tutti quelli delle 17.15”.
E via di folate pazienti verso il corridoio.
Nel frattempo un addetto scambia due chiacchiere con familiari in attesa. “Fino a che ora siete qui?”. “Eh, ho la branda lì dietro” dice con un sorriso l’uomo dell’Asst e indica con il naso al di là delle paratie del Cup. “A volte alle 21, le 21.30, questa sera si va per le lunghe” dice e poi trangugia un po’ d’acqua da una bottiglietta dopo avere gestito flussi, misurato febbri eventuali, controllato il quadro generale.
Dopo un’ora di attesa dall’appuntamento fissato, l’agognato corridoio: di là ci si perde un po’, si raccoglie il proprio numero di ingresso, un errore che può capitare (assegnato a una seconda dose quando si tratta della prima), l’equivoco risolto, lo sbarco nella nuova, terza sala di attesa – prima fuori, poi al Cup, quindi allo spazio vaccinazioni.
Un monitor dindonna segnalando il turno successivo, l’attesa è di sedici persone, ci sono otto box, dai che non è lunga. E infatti il monitor dindonnatore dindonna scaglionando l’ingresso ai box come in una Formula uno in cui i pit stop non sono proprio da record, ma ci vuole tempo per l’anamnesi. Nel frattempo medici e paramedici escono chiamando numeri – e lì per lì non è chiaro perché qualcuno lo chiami il monitor, altri la viva voce dei mascherati in camice attraversando la sala. Poi diventa chiaro: il dindonnatore dindonna il numero atteso, ingresso ai box, ma non è il vaccino. È l’anamnesi per capire quale vaccino sia il più adatto.
Altro giro, altro regalo di attesa: usciti, si aspetta la voce mascherata che chiama il numero, orecchie tese a ogni apparizione, colli che vorticano davanti e dietro a seconda della provenienza. Che finalmente arriva: ingresso, porta chiusa dopo il passaggio dell’igienizzazione (uno straccio volante), pochi – ma ennesimi – minuti. Sono le 19.38 quando il vaccinando diventa vaccinato. Altri quindici minuti contro le avversità. Via libera alle 19.53. Cioè due ore meno due minuti dopo l’arrivo, con parco anticipo, al parco vaccinazioni. In un sesto tempo (e non senso): l’attesa fuori, l’attesa al Cup, quella per l’assegnazione del numero, l’epifania del numero, il parcheggio pre-dose, la pausa cautelativa.
Poi si paga il parcheggio, quello dell’auto. E ci si rivede a fine luglio. Alle 19 inoltrate.