Carmela Sciacchitano come mandante. I fratelli Angelo e Carmelo Arlotta, Giuseppe Cammarata (detenuto per reati di mafia), e altri complici nel ruolo di esecutori materiali. E poi quelli che facevano il “palo”, chi ha eliminato il cadavere, persino chi (Ignazio Marrone, il rottamaio già condannato per ‘ndrangheta e vecchia conoscenza delle forze dell’ordine) ha provveduto a far sparire la macchina della vittima.
L’avviso di conclusione indagini relativo all’omicidio dell’immigrato albanese di Genova Astrit Lamaj, ammazzato a Muggiò, e seppellito nel pozzo di un residence di lusso a Senago, ripercorre in sintesi tutta la vicenda risalente dal gennaio 2013, l’epoca dell’esecuzione dell’uomo, sino al 2018, quando il cadavere è stato scoperto dai carabinieri nei sotterranei di Villa degli Occhi, a Senago.
Un’indagine poderosa, riunita in 12mila pagine di fascicolo, istruita dal pm di Monza Rosario Ferracane. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, che partono dalle dichiarazioni rese alla magistratura dal muggiorese Carmelo Arlotta, l’omicidio è stato compiuto attirando la vittima a un falso appuntamento per una consegna di droga. Nel box di una villetta di via Monte Grappa, a pochi metri dalla stazione dei carabinieri, l’albanese sarebbe stato tramortito e strangolato: azione alla quale avrebbero preso parte gli Arlotta, Cammarata, Salvatore Tambè. L’unica mandante resta però la 64enne Carmela Sciacchitano, genovese, ma nata a Riesi, in provincia di Caltanissetta, zona di origine anche di Cammarata (membro della famiglia che comanda il locale mandamento mafioso) e degli Arlotta. Questo perchè la donna non avrebbe saputo accettare la decisione di finire la relazione presa da Lamaj, più giovane di lei di 16 anni, e perciò avrebbe deciso di farlo uccidere dietro la promessa di “un corrispettivo non meglio precisato in denaro”.
Il cadavere è stato poi spostato in un’altra abitazione muggiorese di via XXV Aprile in uso a Francesco Serio (indagato) e infine trasportato a Senago, dove erano in corso lavori di ristrutturazione nella taverna di un appartamento del residence (estraneo alla vicenda il proprietario dell’abitazione). Lì, dove l’altro indagato Cosimo Mazzola stava svolgendo lavori di muratura, è stato gettato in un pozzo artesiano profondo venti metri e coperto “con calcinacci e altro materiale di risulta”. Per far sparire ogni traccia, infine, la macchina della vittima, una Golf, è stata portata a Desio, da Ignazio Marrone, che avrebbe provveduto a demolirla, dopo aver smontato e rivenduto il motore. Per tutti gli indagati si prospetta ora il rinvio a giudizio.