Andrea è nella squadra “A”, Sofia nella “B”. Ma in questo periodo di emergenza e mancanza di personale, capita che siano in turno insieme. «Quando c’è Sofia come capo equipaggio – dice Andrea – sono tranquillo. So quanto vale e che saprà prendere le giuste decisioni».
Parla così Andrea Gnudi, 22 anni, studente al quarto anno di Ingegneria Meccanica al Politecnico della sorella gemella Sofia, studentessa in legge dopo il diploma al Porta.
Sono entrati in Croce rossa a Monza insieme quando avevano solo 16 anni. «Abbiamo iniziato con il corso base – raccontano – un mese per imparare le nozioni di primo soccorso senza però l’uso del defibrillatore».
Poi subito l’impegno nell’area sociale della Cri di Monza. La raccolta di alimenti nei supermercati, la distribuzione alle famiglie bisognose, protagonisti anche delle raccolte fondi natalizie quando Andrea si è travestito da Babbo Natale per gli auguri ai bambini.
Da due anni sono entrambi soccorritori dopo un corso intenso della durata di un anno in cui hanno imparato cosa significa occuparsi di un trasporto sanitario in emergenza e non. Sono ragazzi in gamba e si capisce anche solo guardando i loro occhi oltre la visiera e le mascherine: capo-equipaggio all’occorrenza a soli 22 anni o operatori di defibrillatore nel caso di pazienti in arresto cardiaco.
Da marzo vivono in prima linea l’emergenza sanitaria che ha colpito il territorio e che ha stravolto anche i loro turni. Di solito impegnati nel fine settimana, ora invece sono spesso in servizio anche a metà settimana per coprire altri volontari contagiati o in quarantena fiduciaria.
«Da marzo affrontiamo il turno bardati con doppi guanti, doppia mascherina, visiera o occhiali e camici – dice Andrea – con il caldo dei mesi estivi è stata davvero dura».
Più difficile è però il lavoro di queste settimane quando le richieste di aiuto da pazienti con sintomi Covid si sono moltiplicate.
«Da metà ottobre – spiega Sofia – abbiamo capito che cosa stava succedendo in Brianza. Dopo un’estate molto tranquilla sono ricominciati i casi di pazienti in crisi respiratoria».
Sofia e Andrea con i loro 22 anni sono l’altra faccia di quella gioventù accusata di avere passato un’estate tra aperitivi e discoteche. «Abbiamo osservato con preoccupazione quello che stava succedendo nei locali – dicono – e non abbiamo visto solo giovanissimi, ma anche adulti che hanno dimenticato troppo in fretta. Per noi è stato naturale, con quello che abbiamo visto, essere sempre cauti e consigliare lo stesso comportamento ai nostri amici».
Quello che hanno visto e che continuano a vedere è la paura negli occhi di chi soccorrono e devono accompagnare in ospedale per un ricovero: «C’è la disperazione e lo strazio di dover lasciare la propria casa – spiegano – la preoccupazione dei parenti che pensano che potrebbe essere l’ultimo saluto. In questi casi è importante saper confortare e avere anche la prontezza di raccomandare di prendere con sé un telefonino».
Il viaggio in ambulanza e l’attesa al pronto soccorso è il tempo che questi ragazzi e i volontari impegnati come loro hanno a disposizione per infondere tutto il coraggio a chi si appresta ad affrontare la guerra al virus.