Nell’infinita guerra alle organizzazioni mafiose che si inabissano, si nascondono e si occultano, che non indossano più coppole e non imbracciano fucili a pallettoni, la Direzione investigativa antimafia concentra la sua attività di contrasto soprattutto su quello che è ormai considerato il “reato spia” di probabili infiltrazioni, la corruzione. E ciò è stato confermato dall’analisi dell’attività svolta nel secondo semestre 2017 confluita in un corposo documento e sintetizzata in una relazione inviata alle Camere, il 4 luglio scorso, dal Ministero dell’Interno.
Assodato che sia il mondo economico-finanziario il mercato nel quale si muovono le organizzazioni criminali: «attraverso la complicità e la connivenza di agenti di quel settore», la Dia ha affilato di conseguenza le armi, con «nuovi modelli di contrasto», vedi un Protocollo d’intesa tra la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. l’Unità di Informazione Finanziaria, il Dipartimento della pubblica sicurezza e la Guardia di Finanza in tema di gestione e sviluppo delle operazioni finanziarie sospette: «nel quale vengono definite le peculiari attribuzioni della Dia in materia di prevenzione e riciclaggio, con particolare riguardo ai profili di attinenza alla criminalità organizzata».
Oltre 47mila le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette (S.O.S.) (la media di 260 al giorno) di enti creditizi (36mila), e in misura nettamente inferiore di professionisti, intermediari finanziari, istituti di pagamento e istituti di moneta elettronica, analizzate nel semestre di riferimento con la conseguente verifica di 188mila soggetti (133mila persone fisiche e 55mila giuridiche). Esaminate qualcosa come 221mila operazioni finanziarie sospette concentrate per quasi la metà dei casi al Nord, 45.832 (il 20,69%) in Lombardia. Oltre 2.500 sono state valutate potenzialmente attinenti alla criminalità organizzata e hanno generato sviluppi investigativi; 29 (21 riferibili alla criminalità calabrese, 8 a quella pugliese) sono state trasmesse alla Dia per approfondimenti investigativi; 23 sono confluite in 4 procedimenti penali.
Rafforzato anche il ruolo della Dia nei controlli amministrativi antimafia attraverso l’Osservatorio Centrale sugli Appalti Pubblici, in quanto parte attiva nei Gruppi interforze a livello provinciale, con il compito di verificare l’assetto delle imprese coinvolte negli appalti e le possibili infiltrazioni mafiose: 18 i provvedimenti interdittivi emessi in Lombardia sui 338 totali, a livello nazionale.
Quanto all’analisi delle singole organizzazioni, la ’ndrangheta sovrasta nettamente le altre in quanto diventata ormai una “holding integrata del crimine” che: «avvicina soggetti strategici, imprenditori e amministratori pubblici disposti a scendere a patti per un proprio tornaconto, economico o elettorale». Apparentemente, da decenni, al Nord, non si rinnova e sopravvive: «Scorrendo i nomi degli indagati nelle varie inchieste in Lombardia – si legge nella Relazione – si rinvengono gli stessi cognomi interessati dalle prime inchieste dei primi anni ’90, prova della resistenza delle famiglie alle misure restrittive personali che a quelle patrimoniali».
In riferimento alla Brianza, citata l’operazione, del 26 settembre, eseguita dai carabinieri, che ha inglobato tre indagini confluite in “Ignoto 23” e “Dedalo”, coordinate dalla Dda di Milano, e nel blitz che ha decapitato l’allora amministrazione comunale di Seregno con cinque arresti e sette denunciati in stato di libertà indiziati a vario titolo di corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio, abuso d’ufficio e favoreggiamento personale e la conseguente istituzione da parte del prefetto di una Commissione d’accesso per verificare la sussistenza di infiltrazioni mafiose nel Comune.
A proposito, invece, di Cosa Nostra, come la ’ndrangheta ormai specializzata nell’inabissarsi, citati sviluppi (a dicembre 2017, con l’arresto di un commercialista indagato per le ipotesi di bancarotta fraudolenta, indebita compensazione d’imposta e autoriciclaggio) dell’operazione “Security”, della Polizia di stato e Gdf, di maggio 2017, che aveva portato a 15 ordinanze di custodia ai danni di presunti favoreggiatori della famiglia mafiosa catanese dei Laudani (sequestrati beni per 6 milioni).