Il Pirellone ha approvato il referendum per una maggiore autonomia della Lombardia da Roma. Martedì sera, dopo dieci ore di Consiglio, è arrivato il sì di oltre i due terzi dell’aula: 58 voti favorevoli, la maggioranza aiutata dal Movimento Cinque Stelle. Questo il quesito a cui i cittadini lombardi potrebbero essere chiamati a rispondere probabilmente già quest’autunno: “Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione?”.
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Si voterà, se tutto va bene, con il meccanismo del voto elettronico, risultato portato a casa dai grillini dopo settimane di trattativa con Roberto Maroni: questa soluzione, hanno spiegato i diretti interessati, dovrebbe accorciare i tempi, diminuire i costi, scongiurare i brogli e portare più cittadini alle urne.
La proposta, partendo da un’originaria volontà “secessionista”, ha sfiorato il perimetro dello statuto speciale per poi approdare ad una più semplice – e costituzionale – richiesta di maggiore autonomia. Un percorso politico che, rivendicano i promotori, si è consumato nel solco di quel federalismo differenziato che già Formigoni, nel 2006, aveva tentato di portare, senza successo, sui tavoli romani con Prodi prima e Berlusconi poi.
Il senso politico della giornata di martedì è dipinto sui volti dei due brianzoli protagonisti di quella che è stata una vera e propria seduta fiume, fatta di interruzioni, litigi, trattative e giochi al rialzo.
Quello, soddisfatto, di Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega che si è intestato uno dei cavalli di battaglia del Carroccio: «Ora avremo la possibilità di andare a chiedere maggiore autonomia al Governo forti dell’investitura dei cittadini lombardi”, ha esultato, ammettendo che “senza il contributo dei cinque Stelle non ce l’avremmo fatta».
Quello, scuro, del capogruppo del Partito Democratico, Enrico Brambilla che, fino all’ultimo, ha cercato di spuntare con Maroni la strada alternativa della trattativa con Roma: «Questo è un referendum che serve alla Lega, per dare un senso ad una legislatura regionale che fino ad ora non ha prodotto gran che. Non serve di certo ai cittadini».
«Se alle urne arriverà il sì dei lombardi – ha commentato Maroni – otterremo anche maggiori risorse, senza dover sempre essere qui a subire i tagli che arrivano dal Governo».