«Una misura estemporanea, poco efficace e per nulla comprensibile dai cittadini». È una stroncatura senza appello il giudizio espresso dall’associazione di cittadini HQ riguardo la novità “dell’estensione selvaggia della sosta a pagamento” – come l’hanno definita – introdotta dall’amministrazione comunale di Monza e in vigore in via sperimentale nel centro storico a partire dal 1 agosto.
Parcheggi a pagamento a Monza, HQ: «Difficile non pensare che sia per fare cassa»
«Difficile pensare che non sia stata ideata per fare cassa – continuano dall’associazione di San Fruttuoso – considerando che potrebbe rendere fino a 10 o 12 milioni di euro all’anno. È deludente che non sia inserita in un quadro organico di nuove regole per disincentivare l’uso dell’auto privata, ridurre il traffico, migliorare la vivibilità nei quartieri».
Parcheggi a pagamento a Monza, HQ: trasporto pubblico gratuito e potenziato
Ecco allora la controproposta avanzata dai membri di HQ: estensione della sosta a pagamento a condizione che allo stesso tempo il trasporto pubblico locale diventi gratuito per i monzesi, e che venga opportunamente potenziato. Una soluzione – spiegano i promotori – facilmente applicabile dal momento che i bus gratis non comporterebbero spese aggiuntive, perché il costo di gestione verrebbe assorbito dai nuovi ricavi delle soste.
Parcheggi a pagamento a Monza, HQ: «I bus gratis incentivano a lasciare l’auto a casa»
«L’esperienza di altre città italiane ed europee mostra che la sosta a pagamento in sé non serve a nulla. La riduzione delle auto è minima ma si intensifica il traffico a causa della rotazione dei veicoli sugli stalli. I bus gratis, già sperimentati a Roma, Genova, Livorno e Ravenna, incentivano a lasciare l’auto a casa – spiega Isabella Tavazzi, portavoce dell’associazione – Questa decisione ci sconcerta. Perché l’estensione della sosta a pagamento dovrebbe essere un elemento bilanciato all’interno del Pums, il piano della mobilità sostenibile che a Monza è in eterna elaborazione da oltre vent’anni, da quando si chiamava Put».