Che poi è una città di guelfi e ghibellini come ce ne sono tante in Italia, Monza, di quelle che amano dividersi sui bianchi e neri come se non ci fosse un domani. Non che siano dei torti o delle ragioni da spartire, necessariamente. Ma così è: giusto la passione di sentirsi dalla parte giusta e raccontarselo. È successo anche allora, quando una giunta comunale ha dato il via libera all’operazione Villa reale che ha restituito a Monza uno dei capolavori della civiltà europea degli ultimi tre secoli.
Lui, probabilmente, non è stato né guelfo né ghibellino: non per ignavia, ma perché tant’è, si trattava di vedere come sarebbe andata a finire. I torti e le ragioni li consegnerà la storia prossima ventura, intanto lui con poco meno che certezza si gode lo spettacolo della reggia restituita al presente. E come lui, tanti monzesi. Ecco perché Corrado Beretta è il monzese dell’anno per il Cittadino: perché ci sono tanti come lui, e lui per primo, ad avere coltivato per anni il sogno di ritrovare le sale del Piermarini come se fosse oggi il giorno in cui sono state create. E a vederle vivere.
Un monzese cresciuto fianco a fianco della reggia e del suo parco, guardandolo e osservandolo, imparando e scoprendo quanti tesori contiene e chiedendosi, fino all’altro ieri, perché non meritassero la tribuna che spetta loro. Anno 2014: quello in cui, da settembre, la Villa reale di Monza è tornata frequentabile, in senso stretto, al di là di tutto.
Allora un passo indietro: era il 2008 e in occasione dei tradizionali Sambiagini d’oro Corrado Beretta aveva ricevuto un riconoscimento speciale dall’allora circoscrizione Cinque per il suo impegno a favore del parco e della Villa reale. Da lì a pochi mesi, in una rubrica del Cittadino, aveva detto: «Il mio sogno? Vedere la villa completamente restaurata e fare in modo che i visitatori siano consapevoli del valore storico del parco di Monza e della genialità dei progettisti che lo hanno creato».
Ecco: il Cittadino ha scelto lui come monzese dell’anno. Perché rappresenta i monzesi che da sempre amano il parco e la reggia, che hanno imparato a conoscerli e a frequentarli e lui più di tutti, portando centinaia di monzesi grandi e piccoli da almeno dieci anni a questa parte a spasso per il parco e la reggia raccontando i tesori che contiene. Dieci anni non a caso: è dal 2004 che Beretta lavora prima per l’amministrazione del parco e poi, da quest’anno dopo avere vinto un concorso, per il Consorzio parco e Villa reale.
Tecnicamente, si occupa della comunicazione. Ma si sa che è molto di più: è quello che conosce la storia di ogni angolo e pietra messa in piedi negli ultimi tre secoli, è quello che sa cosa succede ogni giorno all’interno del polmone verde recintato con le antiche mura del castello di Monza, è la memoria vivente (nonostante i suoi soli 39 anni inapparenti) di un tesoro europeo conservato in Brianza.
Potrebbe raccontare allo stesso tempo dell’arte topiaria creata con l’esemplare di taxus baccata, l’albero della morte,come della magnolia grandiflora con i cui petali è possibile cucinare gustose pietanze. Della sequoia sempervirens, il gigante che prende il nome dal capo indiano della tribù dei Cherokee come della Mata Capina che la leggenda vuole si aggiri ancora oggi tra gli alberi del parco. Oppure delle fate – quelle, certo – che ai pleniluni arrivano a raccogliere i regali che lasciano i bambini su un ippocastano dalle parti della Villa Mirabello. Alcune delle tradizioni folkloriche che ha raccolto e raccontato anche in alcuni volumi, come il racconto della selva dei Gavanti, situata nella parte nord del futuro Parco: si dice fosse abitata dai folletti in epoca pagana e qui venne edificato un tempietto dedicato alla Signora del Soccorso, in epoca cristiana. In un volume del 1861 Bertoldi da Vicenza la descrive così: «Antica è questa selva. Fin dal secolo XIV n’eran possessori i Gavanti, nobilissima famiglia monzese. Estendevasi la medesima da mezzogiorno a levante per la lunghezza di circa due miglia, e per cinque di circuito. Nel progresso dei tempi passò in proprietà dei claustrali di S. Maria delle Selve, e quindi divenne sacra alle popolazioni dei circostanti paesi, dacché gli operai del Convegno Monzese vi eressero nel mezzo un tempietto, dedicandolo a Nostra Signora del Soccorso, in riconoscenza della prosperità del commercio delle lane, che tanto allora fioriva sulle rive del Lambro».
Oppure ancora il fantasma del Mirabello «che si aggira nelle sale quando le persiane si chiudono e il tempo inizia a scorrere più lentamente. Alcuni testimoni giurano che dopo le nove di sera si odono passi pesanti attraversare il salone accompagnati da una risata. Forse il cardinale Durini (che ha abitato la villa, ndr) è solo contento che finalmente le istituzioni si siano accorte di quanta bellezza ci abbia regalato».
Pochi mesi fa l’amministrazione comunale ha premiato suo padre: a giugno a Giuseppe Beretta è stato consegnato il Giovannino d’oro per la fondazione del “Centro Polisportivo San Fruttuoso” e l’impegno a favore dello sport. Difficile non pensare che prima o poi anche Corrado non ottenga la più importante onorificenza cittadina per una vita dedicata alla Villa reale e al suo parco, i veri simboli della città. Perché a parlare con lui si scopre questo: che è cresciuto amandoli, ha sempre voluto occuparsi di questo. E ci è riuscito. Il simbolo di una città che sa amare il meglio di sé.