La questione mescola aspetti privati molto delicati (una separazione tra coniugi molto conflittuale, un padre che vuole mantenere il suo rapporto col figlio maschio), e le storture del sistema giudiziario che impiega undici anni per decidere sull’affido di un bambino di sei anni, che nel frattempo ha vissuto la sua infanzia e la sua adolescenza a Monza, dove oggi, maggiorenne, abita ancora, diventando un giovane uomo.
Il caso, nei giorni scorsi, ha avuto una eco mediatica nazionale, e vede in primo piano un uomo che, nel 2006, dopo la separazione dalla consorte, chiede al tribunale dei minori che venga stabilito l’affidamento condiviso e la regolamentazione del “diritto di visita” al figlio che, all’epoca, ha solo sei anni.
Una causa introdotta con provvedimento “d’urgenza”, nel 2006, come spiegato dall’avvocato sestese Gianpaolo Caponi, che ha curato gli interessi del padre del monzese assieme al collega Francesco Langè, e “terminata ben undici anni dopo quando il figlio era ormai quasi maggiorenne”.
Solo nel 2017, infatti, il tribunale dei minori decide per l’affido alla madre, ma i tempi si allungano ulteriormente all’anno appena concluso, considerato il ricorso dell’uomo (che è padre di altri due ragazzi con una brillante carriera studentesca e lavorativa) ai giudici della Corte d’Appello. E non si parla, come si potrebbe pensare di una coppia di genitori problematici, a parte l’alta conflittualità. I servizi sociali, infatti, avevano definito sia la madre che il padre come genitori “adeguati”.
Anzi, entrambi venivano considerati “importanti punti di riferimento per il minore, in grado di offrirgli risorse differenti ma comunque preziose”, e il papà viene considerato “affettuoso”.
La relazione risale al 2009, ma la causa si trascina per anni, fino a che il giovane brianzolo, comprensibilmente, comincia a rifiutare di presentarsi in tribunale o di comparire davanti agli assistenti sociali. Il rapporto tra il minore monzese e il padre, nelle more di una decisione, si sfilaccia progressivamente, fino a rompersi del tutto nel 2014. Tre anni dopo l’affido viene dato alla madre, che pur essendo all’altezza, non veniva considerata in grado “di assicurare la bigenitorialità”.
L’avvocato Caponi, ora, chiede al Ministero della Giustizia e alla Presidenza del Consiglio un risarcimento da un milione di euro: «Di fatto l’assenza della giustizia e il vuoto decisionale hanno generato un danno irreparabile: in assenza di regole di pronunce e di fronte al silenzio perpetrato per oltre undici anni dal tribunale dei minorenni il mio assistito ha perso irrimediabilmente il rapporto col figlio, valore dell’uomo imprescindibile e che non dovrebbe mai essere disatteso dal sistema. L’avvocato si chiede “quale somma potrà mai compensare non solo il dolore sofferto dal padre per la perdita del rapporto con il figlio ma il tempo perso tra padre e figlio per amarsi e crescere insieme?».
In questa «totale assenza di giustizia – prosegue – la vera vittima è il figlio al quale, inconsapevolmente, è stato sottratto l’amore di un genitore». L’auspicio del legale, infine, è che «il dibattito politico, che susciterà questa vicenda possa essere di monito e riflessione per chi ci governa per far sì che casi simili non capitino più».