La mattina lavora come inserviente e fa le pulizie negli uffici a Monza, di sera vende le rose per arrotondare le sue modeste entrate, nella speranza di mandare qualcosa a casa. Anzi, vendeva rose, perchè Shahabuddin Chodkar, da quella sera di luglio in cui è stato gettato nelle acque della Darsena a Milano da due sconosciuti, ha deciso di smetterla con quel secondo lavoro notturno. Un uomo abituato alla vita dura, visto che in Bangladesh, il paese d’origine che ha lasciato 8 anni fa, lavorava nei campi e nelle risaie.
Ma dopo quella sera in cui è finito nelle acque del Naviglio, la sua vita non è più la stessa: «Ho avuto paura, sono finito in acqua, mi hanno spinto in acqua senza dire una parola». Da allora è sotto shock, nonostante sia uno che ha conosciuto le difficoltà della vita da migrante, dopo che – racconta in un italiano molto stentato – ha trascorso «4 anni in Libia», fino ad arrivare a Milano.
Oggi lavora per un’impresa di pulizie di Monza assieme a colleghi stranieri di tutte le nazionalità: «Lavoro come addetto alle pulizie al mattino, vivo con altri amici del Bangladesh, prima la sera andavo a vendere fiori per tutta la notte ma ora ho deciso di smettere si guadagna poco e si rischia. Quella sera un ragazzo mi ha salvato assieme alla polizia. Sono venuto qui per lavorare, ho il permesso di soggiorno, non ho mai voluto fare del male a nessuno».
Chodkar vive in una vecchia portineria in zona Navigli con altri connazionali. In Italia vive anche da più tempo di lui il cugino.
«Si è davvero spaventato, poteva finire molto male – dice quest’ultimo – quasi sicuramente sono stati degli italiani, dice di averli visti in faccia e che saprebbe riconoscerli». Prima dell’episodio capitato a Chodkar, era già stato lanciato l’allarme legato alla presenza di bande che “si divertono” a spingere in acqua le persone nella Darsena, una delle zone della movida più frequentate nel capoluogo.