Tre associazioni e tre differenti filoni di dibattito per raccontare la legalità attraverso le storie e le vite di altrettanti protagonisti. Minerva, Novaluna e Antes onlus, in collaborazione con i Comuni di Concorezzo, Monza e Agrate, propongono il ciclo “Ora legale”. Ad aprire gli incontri Umberto Ambrosoli, ospite al Binario 7 giovedì 22 gennaio, alle 21.
Poi Mauro Palma, presidente del comitato contro la tortura del Consiglio d’Europa, atteso il 2 febbraio alla biblioteca di via Ferrari ad Agrate, con l’incontro “Le nostre carceri. Fra disumanità, punizione e riabilitazione del condannato”. A chiudere la rassegna Nando dalla Chiesa, che parlerà al centro civico di piazza Falcone e Borsellino a Concorezzo, il 25 febbraio alle 21, con un intervento dedicato alle infiltrazioni mafiose al Nord.
Sono responsabilità e senso del dovere le espressioni che maggiormente vengono ripetute quando si parla di Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca privata italiana, assassinato sotto la sua casa di Milano l’11 luglio 1979, per mano di un sicario assoldato dal banchiere Michele Sindona.
Allora il figlio primogenito Umberto, oggi consigliere regionale nelle liste del Pd, aveva solo otto anni. Per quel bambino di allora, per i suoi tre figli e per i ragazzi che non hanno mai conosciuto la vicenda di suo padre, ha voluto scrivere “Qualunque cosa succeda”, edito da Sironi editore e ripubblicato lo scorso inverno, che presenterà il 22 gennaio alle 21, al Binario 7, ospite della rassegna “Ora legale” promossa dall’associazione culturale Novaluna.
Quanto è rimasto nella politica e nella finanza di oggi di quel senso di responsabilità verso il proprio dovere che ha caratterizzato l’operato di suo padre?
Allora, ma è così anche oggi, era forte il sentimento di tanti cittadini, convinti che l’operato del singolo non potesse in alcun modo cambiare le cose. Ecco, mio padre ha dimostrato con la sua vite e le sue scelte il contrario.
Come?
Lo animava un fortissimo senso di responsabilità non solo come professionista ma anche come privato cittadino, come marito e padre. Proprio per questo la fondazione che abbiamo creato in ricordo di mio padre ha ideato il premio Integrità, assegnato ogni anno a persone normali, che hanno saputo e voluto esercitare la loro responsabilità, anche a costo di grandi sacrifici.
A chi ha pensato mentre scriveva il libro?
Ai miei figli, ma anche alle tante persone che non hanno mai incontrato un simile esempio. È importare consegnare soprattutto ai ragazzi questo senso di libertà, la meraviglia della libertà di portare fino in fondo il proprio compito. Papà è sempre stato libero di decidere cosa fare, senza mai piegarsi alle pressioni, allo sconforto e ai tentativi di corruzione.
Come giudica le ormai accertate infiltrazioni della ‘ndrangheta al nord?
Non è mai stato un mistero per nessuno, la ‘ndrangheta faceva affari al nord fin dagli anni Settanta. La presenza della criminalità si è solamente modificata nel corso degli anni: i proventi dei sequestri di persona sono stati convertiti nello spaccio di droga, e questi sono stati dirottati nei mille rivoli dell’economia apparentemente legale. Gli strumenti normativi ci sono, penso per esempio al Protocollo di legalità stipulato per Expo, serve però un’educazione alla legalità. Troppo spesso si guarda solo al proprio guadagno e non alla giustizia: non contrastare la criminalità significa arrendersi.
Trentasei anni dopo, che ricordo le è rimasto di suo padre?
Mi ricordo la sua serenità, e se ripenso alle mille ragioni di turbamento che aveva papà in quegli anni, mi sembra incredibile che sia riuscito a trasmettere a noi figli una tale forza e gioia. Ed è riuscito a farlo perché sapeva di fare quel che era giusto secondo la sua coscienza.