«Una carenza non data dal numero ma dal tempo, dall’organizzazione», perché chi lavora come medico di medicina generale lo fa per un numero di ore «profondamente diverso da chi lavora nelle strutture ospedaliere, sanitarie». Ed è questo che «crea la percezione di carenza» di medicina di base.
Sono le parole di Letizia Moratti, vicepresidente della Lombardia e assessore al Welfare regionale che hanno sollevato la protesta dei medici di base di tutte le province, pronunciate durante una visita all’ospedale di Bergamo.
All’assessore ha risposto lunedì 25 ottobre la Fnomoceo, la Federazione regionale degli ordini dei medici, con una lettera aperta firmata dal presidente della federazione stessa così come da tutti i presidenti degli ordini provinciali, incluso Carlo Maria Teruzzi, il rappresentante di Monza e Brianza. “Dichiarazioni che dimostrano scarsa conoscenza della realtà lavorativa della medicina territoriale” hanno esordito.
“La medicina del territorio sta subendo le conseguenze dovute a una grave e reale carenza di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, a causa di un clamoroso errore di programmazione, da noi da anni denunciato, che determina un insufficiente ricambio generazionale e che, quindi, non permette un’adeguata ed efficiente copertura delle zone carenti. Tale situazione obbliga i medici di famiglia ad un impegnativo e inaccettabile ampliamento del massimale degli assistiti” che corrispondono a un tetto di 1.500 pazienti ciascuno ma può arrivare anche a 1.800 persone.
“Come da Lei citato, l’orario di apertura degli ambulatori, proporzionale al numero dei pazienti, è sancito dall’Acn (l’accordo nazionale, ndr) ma di fatto sono solo numeri che non riflettono la reale tempistica del quotidiano lavorativo della medicina territoriale, che non è fatta solo di visite ambulatoriali nelle quali lo studio è aperto al pubblico (peraltro, solitamente, ben di più di quanto prescritto dall’Acn e dagli accordi integrativi regionali), ma anche di visite domiciliari e di attività sul territorio, di espletamento delle attività burocratiche, di numerosissimi contatti con i pazienti mediante nuovi e tradizionali mezzi di comunicazione”.
Motivo per cui la Federazione ritiene “improprie le dichiarazioni che evidenziano scarsa conoscenza della realtà lavorativa della medicina di famiglia e mettono in dubbio la professionalità e l’impegno dei medici, che hanno affrontato con dedizione e impegno l’emergenza Covid. Le ricordiamo le decine di medici di famiglia morti sul campo nella nostra Regione, per assistere i pazienti nella prima fase della pandemia, quando veniva loro negata persino la possibilità di acquistare le necessarie protezioni individuali: il numero di medici di famiglia caduti, proporzionalmente, è stato enormemente superiore a quello di ogni altra categoria di medici e di operatori sanitari”.
I medici di famiglia ricordano, tra l’altro, che stanno ancora aspettando risposte a una comunicazione sul tema inviata lo scorso febbraio, “che non ha mai avuto riscontro”.