«I nostri figli non negano le responsabilità nella rissa e, dopo dieci giorni di inferno in carcere, finalmente ora sono in comunità, ma quello che chiediamo è che gli inquirenti facciano luce sulle vere responsabilità di tutti i giovani presenti quella serata, che comunque non chiamarono aiuto, né i soccorsi». Queste sono le parole delle mamme di due dei minorenni di Meda e Seregno, coinvolti nella rissa di Capodanno del 2023 in zona stazione a Meda. Quella notte un pakistano 34enne venne accoltellato con una bottiglia rotta all’addome e poi picchiato e abbandonato in strada, rischiando la vita. Per l’aggressione, da dicembre scorso, un ventenne di Cabiate si trova in carcere a Como con l’accusa di tentato omicidio aggravato in concorso, mentre suo fratello diciassettenne, insieme ai due figli delle donne intervistate, 16 e 17 anni, indagati per concorso nel tentato omicidio, sono stati trasferiti in una comunità di recupero. Tutti e quattro hanno ammesso le responsabilità nel pestaggio e il maggiorenne, difeso dall’avvocato Gianluca Crusco, è in attesa di conoscere la decisione del Gup di Monza (rinviata al 6 maggio) relativamente alla sua richiesta di patteggiare una pena di cinque anni di reclusione.
Rissa: la ricostruzione di quanto accadde
Questo il racconto delle mamme dei due minori in comunità. «Quella sera i nostri figli erano usciti per festeggiare Capodanno con la compagnia in centro a Meda e avrebbero dormito dalla nonna -hanno detto-, per questo noi non sapevamo dove fossero. Ci hanno poi raccontato che, quando sono usciti, hanno incontrato due pakistani ubriachi che li insultavano e li spaventavano. Loro hanno cercato di seminarli, ma quelli li hanno seguiti. Arrivati sotto i portici, dove c’erano gli altri amici, si sono sentiti più tranquilli, ma i pakistani hanno continuato a provocarli e allora il maggiorenne ha reagito: è nata una rissa, alla quale hanno partecipato tutti. I nostri figli non si erano nemmeno accorti che il poveretto era stato colpito con la bottiglia, ma nemmeno gli altri, che erano intorno, hanno chiamato i genitori o i soccorsi rendendosi tutti responsabili». Il ferito infatti era stato lasciato solo in una pozza di sangue e soccorso più tardi da un passante. «Intanto, il tempo passava e i nostri figli credevano fosse tutto caduto nel dimenticatoio, nessuno ne parlava tra gli amici e anzi la compagnia si era disgregata. Fino a che l’11 dicembre sono venuti i carabinieri a casa e li hanno arrestati, come se fossero dei pericolosi assassini. È stato tremendo: in quei giorni al Beccaria hanno visto cose orribili e sono stati vessati e derubati, poi, per fortuna, li hanno trasferiti in comunità grazie al fatto che hanno collaborato e detto la verità», ha aggiunto la donna. «Noi non neghiamo nessun addebito, ma abbiamo chiesto alla Procura dei Minori, anche alla luce degli interrogatori, di indagare sulle responsabilità degli altri presenti al fatto, che erano minori e che erano almeno nove. Confidiamo nella magistratura», ha chiosato l’avvocato dei due minori Elisa Grosso.