In-Presa lo aveva invitato perché «la sua storia non solo è avvincente da un punto di vista sportivo: di lui – spiegava settimana scorsa l’amministratore delegato Davide Bartesaghi – ci ha colpito la grande umanità». E Vincenzo Nibali, unico italiano con Felice Gimondi ad aver conquistato almeno un’edizione di tutti i tre grandi giri (la Vuelta nel 2010, il Giro d’Italia 2013 e 2016 e il Tour de France 2014), venerdì mattina, in un auditorium de Il Parco gremito di studenti e appassionati di ciclismo, non si è davvero risparmiato. Guidato dal giornalista sportivo Mediaset Nando Sanvito, lo “Squalo” siciliano ha raccontato di sé, del suo sogno di «bambino discolo che non stava mai fermo» diventato realtà da adulto, delle fatiche, dei sacrifici, delle gioie e delle soddisfazioni del ciclismo, dei traguardi raggiunti (nel 2005 il primo anno da professionista, e nel 2006 la prima vittoria tra i big, a Faenza) e di quelli ancora da tagliare.
Determinato nell’assicurare ai seicento studenti della cooperativa sociale In-presa, del liceo Don Gnocchi e del liceo sportivo Leonardo da Vinci che «il doping è da stupidi, una scorciatoia di cui non c’è alcuna necessità, neppure dopo la più grande delusione», schietto del confessare l’amarezza provata nel momento della caduta alle Olimpiadi di Rio, a undici chilometri dall’arrivo e oro quasi agguantato: «Cos’è la prima cosa che ho pensato? Eh, ragazzi, mi sono girate le balle». Gli si illumina il viso quando Sanvito gli mostra la foto del suo primo direttore sportivo e poi quella della moglie Rachele con la loro piccola Emma, e si fa serio quando dice: «Ho accanto a me tante persone che mi aiutano negli allenamenti, a diventare più forte e a costruirmi. A migliorare sempre più, soprattutto nei punti deboli». Sempre in sella, verso il prossimo traguardo, di sport e di vita.