«Una storia partita con il piede sbagliato e finita ancora peggio. È stata l’apoteosi dell’inefficienza. È inconcepibile che succedano cose di questo tipo nel 2019 in una città come Milano e in una regione come la Lombardia». Non usa mezzi termini Valentina Zaniolo, presidente regionale dell’associazione Penelope, per giudicare la vicenda di Giovannino Sepielli: 81 anni, era scomparso da Limbiate ad ottobre 2018 e morto il giorno stesso investito da un treno. Per tre mesi però la notizia non è stata comunicata alla famiglia.
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Il gruppo, nato nel 2002 per tutelare le famiglie che si sono trovate sole ad affrontare il dramma della scomparsa di un familiare senza avere alcun aiuto nella ricerca dello scomparso e risposte da parte delle Istituzioni centrali e periferiche, era stato contattato dai parenti del limbiatese una settimana dopo quel maledetto 4 ottobre e si era subito attivato richiedendo, senza esito, l’attivazione del piano provinciale per la ricerca delle persone scomparse.
«Era già troppo tardi – commenta Zaniolo – perché era già stato commesso un errore. Anche se a volte è prassi da parte delle Forze dell’Ordine, non c’è scritto da nessuna parte che si debba attendere 24 ore per formalizzare la denuncia della scomparsa, a maggior ragione se si tratta di minori o di persone anziane con problemi di memoria o altre patologie. Questa cosa ha solo fatto ritardare l’avvio delle ricerche ed è stata determinante nell’incredibile sviluppo di tutta la vicenda. Al momento in cui Giovannino è stato investito dal treno infatti non risultava come persona scomparsa».
A questo errore di fondo se ne sono aggiunti altri. «Sepielli – continua la presidente regionale dell’associazione Penelope – era un uomo anziano, alto 1,55 e per cui con caratteristiche abbastanza uniche. Mi sembra chiaro che nessuno delle Forze dell’Ordine intervenute a Gaggiano sul luogo dell’incidente abbia poi controllato la banca dati nei giorni successivi altrimenti avrebbe collegato i due fatti di cronaca».
Per Zaniolo ci sono responsabilità anche di altri soggetti. «Più di due mesi per inviare una mail agli ospedali con il codice del pacemaker e per avere una risposta – dichiara – mi sembra un tempo lunghissimo. A questo poi si aggiungono gli altri 24 giorni per avvisare la famiglia. Questa ha in mano elementi più che sufficienti per avviare una causa legale. Ho chiesto di tenermi aggiornata sull’evolversi della situazione perché noi come associazione batteremo il ferro finché è caldo per fare in modo che anche altre famiglie vivano tutto questo sulla propria pelle».