In mancanza di una precisa definizione (e debita considerazione) del loro lavoro, si sono visti tagliare fuori. Fuori dalla possibilità di proseguire le proprie attività di educatori cinofili nelle settimane di Lombardia in “zona rossa”. Un precedente che getta ombre anche sul futuro.
A palesare le difficoltà della categoria è Maurizio Rizzo di Triuggio, 46 anni di cui 13 vissuti come educatore cinofilo.
«Già normalmente non siamo considerati perché non abbiamo una categoria che ci definisca – spiega – Come liberi professionisti, il nostro codice Ateco ricade tra i “servizi alla persona”». Proprio quelli che il Dpcm del 3 novembre ha fermato in blocco, con poche eccezioni «che non ci hanno riguardato». Per dirla fuori dai formalismi, «si è verificato qualcosa di assurdo. Perché abbiamo dovuto sospendere tutte le nostre attività benché queste si realizzino prevalentemente all’aperto, spesso alla presenza di soli cani e comunque sempre con grande distanziamento e protezioni individuali».
Più concretamente, Maurizio racconta la propria esperienza. «In mattinata mi occupo di quello che definisco “asilo nel bosco” con piccoli gruppi di cani, abitualmente mentre i padroni sono al lavoro».
La dicitura “nel bosco” non è casuale, perché «mi piace molto lavorare nel bosco che è per i cani un ambiente ottimale. Spesso anche le nostre lezioni individuali (educatore più cane con padrone) le facciamo qui, oppure nel mio campo. Comunque all’aperto, raramente al chiuso». L’unico caso di compresenza è quello delle cosiddette puppy class, classi di cuccioli che imparano a socializzare. Ma la combinazione tra spazi aperti, distanziamento e mascherine dovrebbe fugare l’idea di un rischio elevato.
«Nel caso del primo lockdown, essendo tutto chiuso ad eccezione dei servizi essenziali, anche noi ci eravamo adeguati alla misura» senza rigidità. Maurizio Rizzo, sulla sua pagina Facebook “Mamadog” aveva offerto pillole per capire meglio gli amici a 4 zampe e per rispondere ai loro bisogni in periodo di chiusura.
A novembre qualcosa è cambiato, perché «per la nostra categoria è stato molto discriminante». In mancanza di un corretto incasellamento degli educatori di cani in termini di Ateco – «ma anche di considerazione generale della professione» -, la scelta di stopparne le attività è stata incoerente con la natura della stessa. Anche adesso che la Lombardia è uscita dalla “zona rossa”, i dubbi restano.
«Viviamo ancora nell’incertezza perché non si capisce bene se possiamo fare tutto, oppure solo alcune attività – dice Rizzo – Resta poi il timore che eventuali, future chiusure ci portino nuovamente nel limbo».