La mozzarella di bufala e la dieta mediterranea? Un’invenzione dei longobardi

Un documento longobardo del XI secolo riporta che la principessa longobarda Aloara distribuiva la “mozza” ai monaci dell’abbazia di San Lorenzo ad Septimum, vicino ad Aversa. Si tratta della pasta filata della mozzarella. Che sarebbe così un’invenzione dei longobardi, proprio come la dieta mediterranea. Ecco perché.
Teodolinda e consorte in un corteo storico monzese
Teodolinda e consorte in un corteo storico monzese Fabrizio Radaelli

Se i cinesi ci contendono il primato sull’invenzione degli spaghetti, ora i bavaresi potrebbero rivendicare la paternità della mozzarella di bufala. In pochi sanno che uno dei formaggi che regna incontrastato sulle nostre tavole estive, arricchisce le nostre pizze ed è uno dei simboli della cucina italiana nel mondo è in realtà un’invenzione longobarda.

Se i saraceni introdussero i bufali in Sicilia, furono i Longobardi, dopo la battaglia Garigliano ad ottenere come bottino di guerra i grossi animali neri e ad utilizzare per primi il latte per la lavorazione del formaggio dalla pasta filamentosa da “mozzare”. Un documento longobardo del XI secolo riporta che la principessa Aloara, distribuiva la “mozza” ai monaci dell’abazia di San Lorenzo ad Septimum vicino ad Aversa, mentre altre fonti riferiscono che la principessa aveva offerto ospitalità ai monaci che erano già maestri nella lavorazione del pasta da “mozzare”.

Ancora più curioso scoprire che sempre ai Longobardi dobbiamo la nascita della dieta mediterranea, tanto apprezzata oggi da medici e nutrizionisti per il minor apporto di carne a favore di proteine vegetali. L’abitudine a consumare più carboidrati, frutta e verdura rispetto alla carne nasce nelle terre della Longobardia Minor tra il ducato di Spoleto e Benevento, dove inizia la produzione di olio di noci, utilizzato per il condimento delle pietanze.

Ai Longobardi dobbiamo anche l’invenzione del matterello, chiamato “matalis” (dal celto “matare”), un bastone di legno ricavato dalle lance che le donne usavano per stendere l’impasto del pane, così come l’abitudine di consumare i pasti seduti e non più sdraiati e appoggiati su un gomito come all’epoca dei romani.

Lo studio dell’origine delle parole molto ci racconta delle tradizioni di un popolo: “panca” è un termine longobardo che indica la nuova seduta utilizzata dal popolo per sedersi a tavola; allo stesso modo pare che i longobardi fossero maestri nelle pietanze in brodo: la zuppa che amiamo (o detestiamo) oggi deriva proprio da “supfa” longobarda. Di invenzione bizantina sono invece le posate che i longobardi parvero apprezzare a tal punto che esiste una raffigurazione di Re Rotari intento a mangiare il pollo con forchetta e coltello.

L’arte della tavola dai Longobardi ai Visconti si incontra a Monza sulle pareti del Duomo, tra quelle scene dipinte dalla bottega degli Zavattari e che da poco hanno ritrovato tutta la brillantezza dei colori, delle lacche e degli ori originali.

A quelle scene si ispira la XXXIV edizione del corteo storico che è un invito “al banchetto di nozze di Teodolinda e Agilulfo”. E’ l’autunno del 590 e alla cerimonia di Lomello compaiono per la prima volta i confetti. L’affresco ricorda in realtà un altro banchetto, dell’autunno del 1441 tra Bianca Maria Visconti con Gian Galeazzo Sforza. Le cronache dell’epoca riferiscono anche che il matrimonio che unì la dinastia dei Visconti agli Sforza portò in dote una novità dolcissima che resiste ancora oggi: il torrone di Cremona, dolce che abbelliva il banchetto di nozze con una riproduzione del Torrazzo della città.