Dopo i primi silenzi, arrivano le ammissioni. Cominciano a parlare molti degli indagati dell’operazione Domus Aurea, culminata nell’emissione di trenta misure cautelari (di cui 21 tra carcere e arresti domiciliari) eseguite la scorsa settimana dalla Guardia di Finanza per presunti reati tributari e di bancarotta in relazione al crac delle imprese del costruttore Giuseppe Malaspina.
Messi alle strette da una robusta mole di documenti e prove raccolte dagli investigatori delle Fiamme Gialle in questi anni di accertamenti, molti dei personaggi travolti dal blitz hanno di fatto riconosciuto gli addebiti.
Tra questi, secondo quanto emerso, ci sarebbe anche Cesare Croce, cittadino di Triuggio, presidente del Consiglio Territoriale di Disciplina dell’Ordine degli ingegneri di Monza e Brianza, finito in carcere e, ultima novità, trasferito ai domiciliari. Il professionista, lunedì mattina, avrebbe reso ampia confessione. Per quanto il gip Federica Centonze, firmataria dell’ordinanza di oltre mille pagine che ha travolto avvocati, architetti, geometri, impiegati, non abbia ritenuto sussistente il vincolo associativo, la procura insiste a contestare il reato di associazione a delinquere, in base al quale sarebbe stato uno degli “organizzatori”, che avrebbe messo a “disposizione le sue capacità professionali per il raggiungimento degli scopi illeciti”, attraverso la redazione di “perizie di stima compiacenti” e “false perizie tecniche”, ricoprendo “cariche formali in varie società riconducibili a Malaspina”, e “partecipando attivamente alle riunioni strategiche dell’associazione”.
Le prossime mosse, da parte dei difensori, potrebbero essere rappresentate dalla richiesta di revoca o alleggerimento della misura. Visto, tuttavia, il quadro indiziario, che parrebbe essere supportato da abbondante materiale probatorio (documenti, intercettazioni telefoniche e ambientali), le istanze dei difensori dovrebbero basarsi più che altro sulla effettiva sussistenza delle esigenze cautelari.
Non manca, però, chi si difende, respingendo le accuse. Su questa linea si sarebbe posto per esempio, l’avvocato Gerardo Perillo, ex magistrato della sezione fallimentare sia a Desio che a Monza, che ha chiesto la revoca della misura, sostenendo di aver fatto solo il suo “lavoro da avvocato”. L’istanza è stata, però, respinta dal gip. Per questo il suo difensore, l’avvocato Santi Giovanni Alessandrello, ha annunciato ricorso al tribunale del Riesame.
Nega le accuse anche l’avvocato Fabiola Sclapari. Le accuse riguardano “attività di fatturazione per operazioni inesistenti per 95 milioni di euro”. Le società del gruppo sarebbero state spogliate dei loro patrimoni, lasciando solo i debiti, e trasferendo il patrimonio nel cosiddetto “scrigno”: le ditte “cassaforte” nelle quali, attraverso le varie distrazioni, sarebbero finiti la bellezza di 234 milioni di euro.