Cinquantaquattro persone su due piani, di cui uno, il primo ha ancora una destinazione commerciale, la corrente elettrica (quando funziona) va a intermittenza, il riscaldamento va e non va, infiltrazioni d’acqua non mancano, lo sciacquone del bagno è arrangiato alla bell’e meglio, gli arredi tali da poter stare solo in discarica, gli armadietti per gli effetti personali non sono sufficienti tanto che le scarpe,solo per fare un esempio, stanno insieme ai prodotti per l’igiene personale e, in taluni casi, anche al cibo.
Per non parlare delle cucine: al secondo piano un frigorifero e il freezer sono spenti da tempo, ci sono quattro pentole o più per tutti. Stessa sorte per le lavatrici: i vestiti lavati a mano, come catini i secchi per lavare i pavimenti. Le docce perdono acqua e i tre bagnetti per piano sono ciechi (nove, dieci persone per bagno), niente finestre né sistemi di areazione forzata come la norma, da qualche tempo, impone. Paina di Giussano, via Pola 21: i ragazzi che entrano la sera sono al buio, l’immobile è senza illuminazione all’ esterno, lungo le scale e negli appartamenti va a intermittenza. In questo “Cas” (Centro accoglienza straordinaria), gestito dalla cooperativa sociale “I Girasoli”, chi da due anni, chi da uno, chi da qualche mese, vivono 54 profughi originari di vari Paesi dell’Africa oltre a qualche pakistano, di età compresa dai 18 ai 50 anni.
Condizioni di fortuna
Dormono in sei, otto, anche dieci in una stanza su letti a castello con le doghe talvolta rotte, “aggiustate” con i cartoni della pizza, su materassini in gomma. Un buco nel soffitto sopra a un letto è stato coperto con un pannello. C’è chi ha il permesso di soggiorno scaduto: l’appuntamento per il rinnovo gli è stato fissato a settembre 2018 sempre in attesa che si pronunci la Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale. Parlano benissimo inglese, francese, qualcuno anche un italiano fluente. Hanno voglia di integrarsi, sono riconoscenti all’Italia ma, nelle condizioni attuali, non vogliono più stare. Non solo perché la casa in cui vivono ha evidenti problemi strutturali, igienici e di sovraffollamento. Qualcuno di loro dà una mano in oratorio o in parrocchia, ma tutto molto lontano da quello che dovrebbe essere un percorso di vera integrazione.
La lettera al prefetto
Così, stanchi di non essere ascoltati, hanno preso carta e penna e scritto una lettera destinata alla Questura e alla Prefettura: «Sappiamo che la Prefettura paga la cooperativa 35 euro ogni giorno per ognuno di noi – si legge nella missiva – Vorremmo che controllasse per cosa la cooperativa spenda questi soldi. Il cibo non è mai sufficiente, i vestiti sono pochi, ma soprattutto non c’è un progetto individualizzato per ognuno di noi, non frequentiamo corsi professionalizzanti o formativi (ad eccezione dei corsi di italiano). Sappiamo che altre cooperative della provincia di Monza usano dei soldi per far studiare i ragazzi, perché noi no? Mangiamo e dormiamo soltanto. Chiediamo solo correttezza e onestà, imparare un mestiere per noi è importante e ci dà dignità».
Ma i richiedenti asilo non si fermano qua: «Riceviamo assistenza legale solo dopo l’esito negativo della Commissione, negli altri Cas dove vivono i nostri amici sempre in provincia di Monza, ricevono assistenza legale sia prima della Commissione sia dopo. Alcuni di noi hanno trovato lavoro e non hanno potuto essere assunti perché senza carta d’identità e la cooperativa non si è mai preoccupata di questo e non ci ha aiutato ad insistere con il Comune. Noi non ci sentiamo ascoltati. Noi siamo grati all’Italia che ci ha salvato la vita in mare e ci ha permesso di continuare a vivere e sperare, non pensavamo però di finire a vivere in queste condizioni degradanti. Siamo qui per rispettare i nostri doveri e le regole dello stato italiano. Chiediamo, però, anche che ci vengano rispettati i nostri diritti umani». E ancora: «Il Comune di Giussano non ci ha, ancora oggi, dato la residenza. È un nostro diritto e sappiamo che altri ragazzi di un altro Cas a Giussano hanno ricevuto la residenza, perché noi no? Sappiamo che il nostro CAS non è a norma di legge, non è abitabile e non può ospitare persone, perché però ci hanno messo a vivere lì?».
La difesa della coop
Nessuna perdita, le luci funzionano, il cibo è in abbondanza, i problemi segnalati sono stati sistemati o in fase di riparazione. Non si fa attendere la replica dei “Girasoli” che, nella persona di Andrea Canali, ha ribadito che «sì ci sono alcuni aspetti strutturali non del tutto ancora a norma, ma stiamo provvedendo – ha detto Canali dell’amministrazione della cooperativa – attraverso il proprietario». Punto per punto, nulla sarebbe come viene raccontato dai ragazzi, solo «illazioni». Insomma per Canali «man mano che vengono evidenziate dai ragazzi criticità o necessità gli operatori intervengono. L’illuminazione sia sui pianerottoli sia in casa funziona e l’esterno riceve una debole luce dalla strada. Gli elettrodomestici sono funzionanti. Se ci fosse stato qualche problema siamo intervenuti. Non vorrei che certi guasti vengano creati ad hoc. C’era un buco nel soffitto, ma la scorsa settimana il proprietario ha provveduto a farlo sistemare. Gli stessi bagni non mi risulta abbiano perdite d’acqua e, quanto al cibo, siamo probabilmente l’unica cooperativa che garantisce un’alimentazione africana. Abbiamo le fatture e gli scontrini della spesa che lo possono dimostrare e i registri degli interventi di manutenzione per attestare i lavori eseguiti. Non solo: siamo soggetti a controlli della Prefettura e del Comune. Possiamo essere tranquilli circa il nostro operato».
Il rapporto con il Comune
Per Canali il problema piuttosto, è il rapporto con il Comune: «Posso capire questi ragazzi che sono in attesa, da tempo, dei documenti – ha aggiunto il referente della cooperativa– e non avere la residenza, la carta d’identità può diventare motivo di repressione. Per quanto ci riguarda abbiamo mail e “pec” che possono dimostrare quante volte abbiamo scritto agli uffici comunali, al sindaco, ma fino a poco tempo fa non abbiamo mai ricevuto riscontri sia relativamente all’iter per avere i documenti sia per altri aspetti. Solo recentemente abbiamo potuto avviare la pratica per la richiesta della residenza, che ci auguriamo di poter concludere a breve». Nessuna “pecca” secondo Canali, nemmeno per le proposte di attività socialmente utili: «Più volte abbiamo chiesto al sindaco – ha proseguito Canali -. di condividere dei progetti per impiegare i profughi senza, però, aver mai avuto risposte costruttive e operative. Ci stiamo, in ogni caso, attivando per trovare dei percorsi nella comunità in cui vivono».