Giornata contro la violenza sulle donne: anche a Monza e Brianza la forza della parola

Consigli, anche pratici, per evitare una violenza, un nuovo telefono rosa in aiuto alle donne maltrattate, uno spazio per raccontarsi. Perché anche solo parlare di un abuso è un modo per andare avanti. È il 25 novembre a Monza e in Brianza, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Una fiaccolata contro la violenza sulle donne
Una fiaccolata contro la violenza sulle donne Attilio Pozzi

Consigli, anche pratici, per evitare una violenza, un nuovo telefono rosa in aiuto alle donne maltrattate, uno spazio per raccontarsi. Perché anche solo parlare di un abuso è un modo per andare avanti. È il 25 novembre a Monza e in Brianza, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Il nuovo servizio telefonico dell’Asl è attivo da inizio settimana per raccogliere le richieste di aiuto delle donne maltrattate e vittime di violenza. Allo 039 2384383 tutti i giorni dell’anno, 24 ore su 24, rispondono psicologhe esperte di “Telefono rosa”, persone formate per offrire un primo aiuto


LEGGI Giornata contro la violenza sulle donne: l’Asl di Monza e Brianza attiva il nuovo numero telefonico


LEGGI Monza, le proposte dei corsi di autodifesa al femminile


LEGGI Il racconto di Lisa sul blog “Le storie di Agatha”

«In questo modo – spiega Matteo Stocco, direttore generale della Asl – contiamo di intercettare sempre di più i casi di violenza che fanno fatica ad emergere e incrementare l’attività dei consultori che sono spesso il primo luogo a cui le donne si rivolgono».

Ma se ne parla. Anche per questo in città spopolano i corsi di autodifesa dedicati esclusivamente alle donne. Per cavarsela da sole sia fisicamente sia psicologicamente, perché spesso la vittima non è solo inferiore dal punto di vista della forza fisica, ma soprattutto da un punto di vista emotivo.

E a dimostrazione di una diffusa volontà ad imparare le tecniche psicologiche per uscire dal tunnel della sottomissione che spesso inizia proprio tra le mura domestiche.

«Bisogna operare affinché la donna esca dall’atteggiamento di vittima – spiega Andreas Aceranti, psichiatra e criminologo che terrà un corso alla palestra Ronin – La vittima spesso è stata tale anche durante l’infanzia. Magari subendo atti di bullismo».

Un atteggiamento che si è evoluto con la crescita e che è facilmente identificabile dall’aggressore. «Spesso la donna che abbandona il marito violento si ritrova poi in un’altra situazione sentimentale simile – aggiunge – è necessario che escano da questa atteggiamento». Alcune volte da sole non ce la fanno: non è facile, ricordano gli esperti, rispondere alle percosse fisiche e psicologiche dell’orco dentro e fuori casa. Poi però arriva il momento in cui vuoi dire basta: per la tua incolumità o per quella dei tuoi figli.

Da qui la volontà di imparare a difendersi, anche se gli istruttori ricordano di imparare a diffidare dal tutto e subito. «Non è solo questione di difesa fisica, ma è un lavoro anche dal punto di vita di preparazione psicologica – analizza Paolo Di Mercurio istruttore di aikido alla Kobudo Brianza – In questo momento storico è stato gettato il seme del terrore, ma ricordo sempre che prima di imparare a difendersi con le mani bisogna imparare ad avere il giusto approccio mentale».

E poi dopo che se ne è parlato, occorre parlarne ancora. Parlare e raccontare. Sono le storie che raccoglie Flora Scherillo, docente di lettere del Mosè Bianchi. Sono le “Storie di Agatha”, un blog-testimonianza delle difficoltà che diverse donne hanno attraversato e saputo superare, “riuscendo a trovare la forza e il coraggio per andare avanti nonostante il dolore”.

Una di loro è Lisa, monzese, che ha voluto scrivere la sua storia di abusi in famiglia “perché chi subisce violenza non ha nulla di cui vergognarsi”. E il racconto torna al 14 luglio 2011, quando ha avuto il coraggio di denunciare il padre.

“Quella calda sera del 2011 il mio corpo ha buttato fuori tutto involontariamente – ha scritto – ho avuto il coraggio di denunciare mio padre, non perché avessi avuto prove, ma solo ed esclusivamente perché me lo sentivo, ero debole, le idee erano offuscate e l’unica cosa certa in quel momento era di dire tutto. Ma cosa raccontare? Ho raccontato solo le mie paure, niente di più e sapevo che da quel giorno tutto sarebbe cambiato drasticamente, la mia intera esistenza sarebbe mutata e mio padre non sarebbe più esistito nella mia vita ma solo nei miei ricordi (…) È cambiato il mio modo di vedere qualsiasi cosa. Non ero più io, non appartenevo più a quella vita, sembrava che la mia esistenza fosse quella di qualcun altro ed io ne ero intrappolata. Volevo morire, desideravo morire con tutto il mio cuore.
È questo il bivio di cui vi parlavo prima, mollare tutto e raggiungere la pace eterna in un luogo in cui non esiste il dolore oppure rimboccarsi le maniche e affrontare la vita a testa alta?”.