Gli anniversari sanno essere fastidiosi, nella loro inevitabilità formale. Dieci anni dalla morte di uno dei brianzoli più grandi possono cadere nella stessa trappola: diventare pretesto per un discorsetto (magari anche giusto), una celebrazione, un rammarico appiccicoso come la nostalgia vana.
Dieci anni fa i malandati polmoni di Luigi Giussani, letteralmente consumati dall’urgenza di dire “Cristo” al mondo, buttarono fuori l’ultimo soffio d’aria (era il 22 febbraio): e lo sguardo con cui abbracciarli non è su un’assenza ma su ciò che quel sacerdote ha continuato, misteriosamente ma evidentemente, a generare. Le tre pagine che il Cittadino ha dedicato a questa ricorrenza non sono per devozione calendaristica a un genio sorto da questa terra (teologo, scrittore, educatore, amico di papi, fondatore di un movimento), ma per l’attualità delle domande alle quali la vita di Giussani non ha tanto fornito una risposta, ma di cui è stata una radicale, bruciante, continua riproposizione.
Nel 1996, poco dopo averlo conosciuto, Ezio Mauro sale al comando di “Repubblica”. Giussani rimane colpito dalla successione degli eventi, e gli scrive (il testo intero è pubblicato in “Vita di don Giussani”, Rizzoli, di Alberto Savorana). “Offre” al neo direttore la «forza di un’amicizia in cui troviamo il riflesso di un pensiero cauto ma sicuro». Dice che questo pensiero nasce «nel rischio del vivere», e in un animo «che acconsente a qualche nobile presentimento di fronte a necessari giudizi e ad agognata bellezza».
La fatica che costa rileggere queste parole in una lingua che Giussani ha reinventato a servizio della fede e della ragione è premiata dalla verità e dal significato sorpresi in esse: quanto c’è bisogno, oggi, di riconoscere in sé e nei fratelli uomini la necessità di bellezza. Quanto urge, di fronte alla crisi, alle guerre di nuovo possibili, il criterio di un giudizio con cui guardare il mondo con fiducia positiva. E che discrezione, poi, nel proporre al direttore del bastione culturale dei “laici” di acconsentire a «qualche nobile presentimento», quasi al dubbio che Dio esista, e che con Lui si viva meglio.
Gesù Cristo merita di essere preso sul serio come risposta al problema umano. In fondo, se mai fosse possibile “racchiudere” Giussani in una frasetta, tutto sarebbe qui. In una sconvolgente preghiera in cui ringraziava il Padreterno per la grazia della stanchezza e della tristezza, aveva aggiunto questo pensiero, rivolto al Dio incarnato: «Tu sei l’ipotesi positiva su tutto ciò che io vivo».
Oggi, senza la voce e la carne di Giussani, la caccia a questa positività, a un senso all’inizio e alla fine delle giornate, resta spalancata per tutti: cristiani o meno, ciellini o meno. Ma Giussani, il suo pensiero e l’umanità che ha generato come il più fecondo dei padri, è un alleato possibile per tutti. La positività che ha indicato per 82 anni è persuasiva, attraente, possibile: è, diceva, il «Mistero come misericordia», che resta «l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia».