Sarà il 2015 l’anno della svolta per la cava di via Molinara, la ’Gomorra’ della Brianza? Ad oltre 6 anni dalla scoperta della discarica abusiva gestita dalla ’ndrangheta, tutto è ancora come prima. Mentre i responsabili sono stati scoperti e arrestati, il terreno a due passi dalla Valassina resta ancora così com’era. Nel sottosuolo si nascondono rifiuti e sostanze (in foto uno dei tanti bidoni sospetti affioranti ai tempi dell’inchiesta). La bonifica tanto necessaria non è ancora stata avviata.
Secondo gli esperti, a cui è stato affidato l’incarico di effettuare una perizia, l’intervento costerebbe fino a 5 milioni di euro. Chi pagherà? I responsabili si sono dichiarati nullatenenti. La spesa spetterebbe, così, all’ente pubblico, quindi all’amministrazione comunale, che nel frattempo si è costituita parte civile al processo. Il comune sta tentando diverse strade, tra cui quella di ottenere un finanziamento dalla Regione. Per raggiungere l’obiettivo, però, occorre presentare una domanda con allegati gli esiti della ’caratterizzazione”, cioè l’analisi dei terreni e del tipo di rifiuti sotterrati. Cosa che per il momento non è stata fatta, anche per una questione di costi. La spesa per queste analisi specifiche è di circa 150 mila euro.
Nei giorni scorsi è stato fatto un piccolo passo avanti verso l’obiettivo. L’amministrazione ha affidato l’incarico per eseguire la caratterizzazione al geologo Gino Del Pero, già autore di una relazione approfondita sulla cava. «E’ un primo passo» spiega il sindaco Roberto Corti.
Nella cava di via Molinara, tristemente nota come “la cava della ‘ndrangheta”, scoperta nel 2008, si stima che siano sotterrati circa 180 mila tonnellate di rifiuti abusivi e in parte pericolosi. Nessuno, nello specifico, sa che tipo di sostanze sono state sversate nel sito. Finora le analisi non hanno raggiunto le profondità. Per il momento sono stati individuati depositi di cromo e piombo, materiale trovato a 6 metri di profondità. Ci sono soprattutto ferro, calcestruzzo armato, eternit. Anche piombo e cromo. Ma per definire nello specifico, è necessario arrivare fino a 10 o 12 metri sottoterra.
La “caratterizzazione” servirà a chiarire i volumi e il tipo di rifiuti interrati e ad analizzare le possibili conseguenze ambientali, valutando l’eventuale presenza di sostanze nocive oltre i limiti consentiti, sia nei terreni sia nelle acque sotterranee. Il rischio più temuto è che le sostanze pericolose siano arrivate alla falda dell’acquedotto. Per questo occorre fare in fretta. Lo avevano ribadito anche i membri della commissione parlamentare antimafia, in visita a Desio nel 2012. Sono passati quasi 3 anni.