Svegliati in piena notte dalle notizie in arrivo da quella parte di Ucraina che è da anni nel cuore di tanti monzesi. Svegliati da amici, da famiglie aiutate ancora oggi a distanza, da quei bambini ospitati in Italia per diversi anni e nel frattempo diventati ragazzi e chiamati ora a combattere. Dal cuore della notte, mail e messaggi non si sono più fermati. Il ponte di aiuti tra la onlus Ti do una mano e la zona di Chernihiv è divenuto ora uno scambio continuo voci, di appelli, di richieste di aiuto. Le notizie in arrivo da quei territori, al confine con la Bierolussia e a circa 200 chilometri a Kiev, sono drammatiche. La città è già teatro di guerra, tra le prime a esserne travolte, proprio per la sua vicinanza con il confine. Così l’associazione monzese guidata da Lele Duse in queste ore concitate ha scelto di creare una rete di informazioni. Le famiglie monzesi e brianzole che hanno ospitato a più riprese i bambini e i ragazzi ucraini hanno conservato con loro contatti costanti e ora cercano di avere notizie di quelli che sono legami di affetto forti, rimasti ben oltre l’accoglienza in Italia. In dieci anni l’associazione ha fatto arrivare qui circa mille bambini e compiuto diversi viaggi in Ucraina per portare aiuti. «L’abbiamo chiamata “Voci dall’Ucraina” – spiega Duse – ci sembra necessario far conoscere la voce dei nostri ragazzi, delle famiglie, di chi ha sempre collaborato con noi, raccolte attraverso conversazioni informali. Abbiamo scelto di mettere testimonianze per dar conto di quello che sta accadendo e della quotidianità stravolta di quelle zone e quelle persone che così ben conosciamo». La onlus raccoglierà e diffonderà ai suoi soci e amici in modo costante le notizie in arrivo, sempre anonime, con la sola indicazione approssimativa della località, perché in simili circostanze la prudenza non è mai abbastanza.
Già dalle 5 di stamattina dalla regione di Chernihiv arrivava tutto il carico del dramma di un popolo: «Mi sono trasferita dai nonni con la bambina. Qui si sentono gli spari. I carri armati sono entrati dalla Bielorussia» il messaggio di una ragazza. Anche da amici a Kiev, stesso tenore: «Qua sta iniziando la guerra, stanno sparando, gli aeroporti sono tutti chiusi. La gente sta scappando. Mio marito non è a casa e non mi risponde al telefono. Ha ricevuto la cartolina e anche mio padre. Dovranno partire. Si sentono le sirene in città, la gente ha paura perché alle 4 ci hanno svegliato tre fortissime esplosioni». Dalla provincia di Icnya: «Mio fratello ha ricevuto ieri la “cartolina” di richiamo e deve presentarsi stamattina al Distretto militare. Chiamano per primi quelli che hanno avuto un addestramento militare come lui, ma poi prenderanno tutti da 18 a 70 anni». Messaggio alle 5.30 dalla provincia di Vertyevka: «Siamo molto spaventati, abbiamo le valigie pronte, ma non sappiamo dove andare. Si sentono molte esplosioni».
«Ci raccontano di essere senza denaro – precisa Duse – e di non sapere dove andare. Molti dicono di non avere nemmeno un posto dove rifugiarsi. Del resto, molti vivono in aperta campagna. Qualcuno ci riferisce che anche le donne ora vengono chiamate alle armi». Anche in un istituto dedicato ai bambini con fragilità, dove la onlus ha avviato solo poche settimane fa il suo ultimo progetto, sono momenti di grande apprensione e gli scantinati sono divenuti luoghi di riparo.