Vivere rincorrendo i sogni. E’ una vita corsa sognando a occhi aperti quella di Marco Confortola. Alpinista, maestro di sci, guida alpina, venerdì sera il «cacciatore» di ottomila è venuto a raccontarsi a Desio. Una città che ama le vette: Pio XI, il «suo» papa, fu un papa alpinista. Così, l’auditorium del Banco di Desio si è riempito di innamorati della montagna. A invitarlo è stato il Cai di Desio: a fare gli onori di casa, Agostino Gavazzi.
«Abbiamo voluto iniziare con Marco il nostro percorso verso i nostri cento anni» – spiega Claudio Rovelli, presidente del Cai Desio: un’istituzione che, nata nel lontano 1920, oggi conta 600 iscritti, tra i quali 50 under 30, e tre rifugi in gestione. Gavazzi invece ha consegnato a Confortola un’antica copia ingiallita del volume «Pio XI, il papa alpinista», che racconta «le scappatelle» del giovane don Achille Ratti sul Monte Bianco, sul Rosa e sul Cervino. Un dono prezioso che ha molto colpito il celebre scalatore.
«La montagna è mia madre – si confida Marco Confortola – . Ho mosso i miei primi passi di scalatore al Cai di Falfurva. Il Cai mi ha creato e ha formato il mio carattere, al Cai devo tutto quello che sono». Il campione, giunto al suo decimo ottomila nel maggio scorso, ha raccontato la sua ultima impresa, quando ha raggiunto la vetta del Dhaulagiri. Le immagini mozzafiato sul grande schermo del «Banco» hanno mostrato le difficoltà e i pericoli, ma anche la vita quotidiana: «In vetta, non c’è la lavatrice e fare il bucato a quota ottomila può essere un’impresa più complicata di raggiungere una cima».
Per non parlare di lavarsi i piedi con la neve o di riuscire a chiudere occhio quando in tenda ci sono quindici gradi sottozero. Ma Confortola, scalatore con un cuore d’oro, dedica molto più tempo a svelare un fuoriprogramma. Proprio sul Dhaulagiri, Marco ha recuperato sette alpinisti «appeso» a un elicottero. Un dovere morale – salvare una vita – per lui, guida alpina da 28 anni, soccorritore da 20, unico sopravvissuto quando nell’agosto 2009 morirono undici alpinisti nel corso di un’ascensione al K2. Una dura prova personale: ricoverato per i congelamenti riportati, subisce l’amputazione di tutte le dita dei piedi ed è costretto a passare dallo scarpone numero 43 al numero 35.
Tecnico di elisoccorso alpino, Confortola è riuscito a gestire una complessa operazione di soccorso ad altissima quota. Tre recuperi pericolosissimi: il primo a 5600 metri, il secondo a 6500, un altro a 6500, l’ultimo a 7400. «Quelle persone avevano bisogno d’aiuto e se non recuperate dopo più di tre giorni in alta quota sarebbero andate verso morte sicura… La felicità, l’entusiasmo di tutto il campo base nell’ultimo recupero era alle stelle e la mia commozione infinita».
E’ tutto qui Marco Confortola, alpinista educatore, convinto che la montagna sia un’educatrice per i giovani: «I giovani sono il nostro futuro e la montagna può educarli ad alcuni valori importanti: la semplicità, il sacrificio, saper rinunciare al piacere del tutto e subito, capire cosa sono i valori essenziali nella vita». E ancora, rivolto a una platea di giovanissimi scalatori curiosi: «Vi trasmetto la mia regola di vita: obbedire, studiare, fare sport, mai mollare».
Un uomo simpatico, che ha risposto a tutte le domande del pubblico con il sorriso sulle labbra: Cosa si prova quando si arriva sulla cima? «Un senso di calma, bellezza e spiritualità. Ma anche un dubbio: ora, come farò a tornare giù»?