«Sono sempre più convinta che se Stefano non avesse fatto il calciatore non si sarebbe ammalato di Sla, o magari la malattia l’avrebbe colpito in età avanzata, se era inevitabile che questo accadesse». A dieci anni dalla sua scomparsa, a Chantal Guigard, moglie di Stefano Borgonovo, nato a Giussano nel marzo del 1964, ex attaccante di Como, Milan, Fiorentina e nazionale, morto a 49 anni dopo la lunga battaglia contro la sclerosi laterale amiotrofica, restano ancora tanti dubbi. «È una sensazione corroborata da una serie di ricerche. La “prova provata” scientificamente, al momento, non esiste. Ma io sono convinta che se Stefano avesse fatto un altro lavoro non si sarebbe ammalato di Sla a 40 anni e non sarebbe morto a 49 anni», ha aggiunto, citando alcune delle ultime ricerche che hanno evidenziato una maggiore incidenza della Sla tra i giocatori professionisti di sport di contatto.
Borgonovo: i risultati delle ricerche effettuate
L’ultima in ordine di tempo, condotta in Italia nel 2020 da Elisabetta Pupillo e da Ettore Beghi dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e pubblicata sulla rivista scientifica “Amyotrophic Lateral Sclerosis & Fronto Temporal Disease”, ha rilevato che il rischio di Sla tra gli ex calciatori risulterebbe essere circa 2 volte superiore a quello della popolazione generale, e che il rischio salirebbe addirittura di 6 volte analizzando la sola serie A. Inoltre, i calciatori sembrano ammalarsi di Sla in età più giovane (45 anni) rispetto a chi non ha praticato il calcio (media europea: 65,2 anni). Gli studiosi ipotizzano che la causa di questa correlazione non sarebbe il gioco del calcio in sé, ma probabilmente una serie di concause, ancora da definire nei dettagli, tra cui il ruolo dei traumi e l’attività fisica intensiva, oltre a una predisposizione genetica. Al momento, tuttavia, le cause di questa possibile associazione tra sport agonistico di contatto e Sla restano ignote.
Borgonovo: approfondire è un dovere sociale
«Ci vorrà tempo per confermare questa associazione. Finché non sarà chiaro il motivo per cui ci si ammala di Sla, sarà difficile fare delle correlazioni dirette tra la malattia e il calcio. La sclerosi laterale amiotrofica è una patologia complicata, ma al giorno d’oggi abbiamo tecnologie e conoscenze che 20 anni fa non avevamo, e si potrebbe investire di più in ricerca. È una colpa non approfondire questo legame. Il mondo del calcio potrebbe aiutare anche economicamente la ricerca, che ha costi enormi, senza avere paura. Approfondire è un dovere sociale, a mio parere», ha aggiunto, per concludere: «La mia è una sensazione, non ho strumenti scientifici per dimostrarla. Ma tante volte le sensazioni non sono così lontane della verità. Vedremo tra qualche anno se ci sarà una conferma».