A Oreno, a due passi dal centro della frazione di Vimercate, sorgono la chiesa e il convento francescani, un’oasi di pace e di speranza per tutti, soprattutto per chi ha fame e sete di un senso all’esistenza. Da otto secoli la comunità di frati (attualmente sono in otto) allarga le braccia per accogliere fedeli e lontani e la ricorrenza non è cosa da poco. Tanto che gli stessi padri hanno voluto allestire (da sabato 20 settembre fino al 5 ottobre) dentro il convento una mostra fotografica imperniata sul tema del Testamento del santo poverello d’Assisi. Il patrono d’Italia di cui ricorre la festività il 4 ottobre.
Diciotto pannelli, divisi in tre sezioni; e come indica il titolo “Il passo di Francesco”, vuole essere un evento dinamico, lo spunto per un cammino in compagnia del grande riformatore del Duecento.
“Il Testamento è una provocazione – dice padre Umberto Cuni Berzi, desiano, 52 anni, vissuto a Lentate sul Seveso e da pochi giorni trasferito da Cremona a Oreno per dirigere la comunità – .Va per la maggiore la lettura poetica di Francesco: l’uomo che amava la natura, gli animali. Una visione che ci sta ma che va scavata: lui esaltava la natura perché in essa vedeva la bellezza di Dio. Quando uno, come fece lui, scopre di essere voluto e amato da Dio mette in secondo piano il resto, le cose della terra. Questo mette in discussione un certo modo moralistico di vivere il cristianesimo, molto diffuso: viene associato a precetti, “non fare”, non dire”, devo aiutare il prossimo” etc. Il cristiano non è un masochista che rinuncia ai piaceri della vita: se rinuncia è solo perché attratto da una Verità e da una Bellezza più grande offerta a tutti gli uomini”.
La mostra è un’opera itinerante che fece la sua prima comparsa nell’agosto del 2013 al Meeting dell’amicizia dei popoli. Padre Giancarlo Mandelli, orenese, 67 anni, da un anno trasferito qui da Lomagna, sta curandone l’allestimento. “Francesco scrisse il Testamento nel 1226, poco prima di morire. E’ l’unico santo che ha lasciato un testamento: ha voluto raccontare la sua esperienza, di un evento, l’incontro con Cristo che lo ha cambiato e da cui è nata quella vita, coi suoi compagni che dura da otto secoli. La mostra è una provocazione a confrontarci con tale vita, non un trattato storico critico o spirituale sul Testamento”.
E’ ancora padre Umberto a sottolineare lo scopo dell’evento: “Il santo di assisi non pensava di fondare un bel niente: cercava Dio perché la vita di agi e potere verso cui lo stava indirizzando il padre gli stava stretta. Chi guardava lui, le sue scelte e la sua conversione capiva che stava accadendo qualcosa di eccezionale. E molti lo hanno seguito. Umanamente poteva sembrare un perdente, come Cristo del resto, morto in maniera ignominiosa sulla croce. Eppure siamo qui a distanza di secoli a fare i conti con l’uno e l’altro…”.
La chiesa e il convento di Oreno sono meta da sempre di fedeli in cerca di più fede, ma anche di disperati, travolti da liti famigliari o lutti, o vizi. Che significa questo silenzioso ma imponente “movimento”?
“La gente che viene qui ti sorprende –risponde padre Giancarlo -, perché ti testimonia che nell’uomo c’è qualcosa che non può essere tolto e cancellato da nulla, nemmeno dalle circostanze più negative: la domanda di un senso vero alla vita”.
“E’ vero – rincara la dose padre Umberto -.La domanda scaturisce soprattutto nel fallimento, quando ci imbattiamo nei nostri limiti. Per noi il mondo secolarizzato è una provocazione a rispondere: la realtà mi chiama a rispondere, sono responsabile. Non ci si può rifugiare in un rapporto intimistico fatto solo da io e Dio. Non siamo fatti per essere tristi. Francesco ci insegna a vedere oltre l’apparenza: nel suo scoprire Dio e lasciarsi coinvolgere riusciva a dare del tu anche alla morte”.
Una chiacchierata su papa Jorge Bergoglio, che si è fatto chiamare Francesco è inevitabile. “Siamo felicissimi della scelta, che restituisce al mondo il santo nella sua integrità e potenza”. E torna l’aggancio alla mostra. Lo dice il padre superiore: “Vogliamo fare capire di più Francesco perché si ami di più Cristo, ovvero si ami di più la moglie, o il marito, i figli, i colleghi di lavoro”. E torna anche l’aggancio con l’umanità ferita che bussa al convento. “C’è sempre qualcuno che cerca Cristo e lo cerca attraverso di te, di me” dice padre Giancarlo. “Io sono entrato in convento –ricorda padre Umberto – perché sono stato amato. Di fronte all’umanità ferita c’è solo un atteggiamento: non porre limiti alla Misericordia di Dio”.