Combattere la mafia significa anche combattere l’evasione fiscale. Lo certifica una ricerca dell’università di Padova, ateneo che si è distinto in questi anni per l’analisi del fenomeno mafioso nel Centro e nel Nord Italia, Brianza compresa.
Gli ultimi risultati dell’equipe del professor Antonio Parbonetti, pro rettore e docente del dipartimento di scienze economiche e aziendali, sul rapporto tra clan e affari dicono che quando polizia e carabinieri intervengono per arrestare persone accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso, puntando il dito contro le aziende del territorio controllate dalla criminalità o legate in qualche modo ad essa, nei tre anni successivi le aziende estranee alle logiche criminali pagano dal 6 al 9 per cento in più di tasse.
Le inchieste monzesi «Nel momento in cui -spiega il docente- vengono rimosse le aziende connesse alla criminalità o viene rimosso il legame con esse le imprese pagano più tasse. Succede perchè c’è un maggiore controllo e quindi tutti cercano di rispettare le norme, ma anche perchè un’azienda che si trova a competere nello stesso settore di società connesse alla criminalità subisce una concorrenza sleale e, a volte, riduce il carico tributario. Una volta tolta la concorrenza sleale torna a pagare quanto dovuto». Almeno una parte dell’evasione fiscale, quindi, è legata a fenomeni di competizione sleale per far fronte alla quale le imprese fuori dalla cerchia dei gruppi criminali cedono a comportamenti sleali. Salvo poi tornare sulla retta via quanto lo Stato interviene e blocca le attività mafiose.
La ricerca è solo l’ultimo approfondimento di un lavoro che l’università sta conducendo da qualche anno e che studia le operazioni antimafia e i successivi processi andati a sentenza tra il 2005 e il 2016, in particolare 54 inchieste nelle quali rientrano anche le più importanti investigazioni svolte dalle forze dell’ordine e dalla magistratura nella provincia di Monza.
Non solo l’inchiesta “Infinito”, la madre di tutte le inchieste sulla ’ndrangheta in Lombardia, ma anche le operazioni Blue call, che si è occupata delle estorsioni come metodo per acquisire società, Bagliore, nata dalle dichiarazioni di due esponenti di spicco della locale di Giussano, Antonino Belnome e Michael Panajia, e le operazioni Isola, Tibet (sul nuovo organigramma dalla ’ndrangheta brianzola dopo Infinito e sulla costituzione da parte del gruppo che faceva capo a Pino Pensabene di una sorta di banca) Ulisse e Briantenopea, quest’ultima relativa a infiltrazioni camorristiche sempre in Brianza. Nel panorama definito da questi e altri procedimenti sono state individuate 650 aziende (247 in Lombardia e 33 in Brianza) che avevano come azionista o come componente del consiglio di amministrazione una persona condannata in processi legati ad associazioni mafiose. Tra queste ne sono state scremate altre fino ad arrivare a un campione di 246 aziende (94 lombarde). Una riduzione realizzata escludendo i primi e gli ultimi due anni del periodo preso in considerazione (restano, quindi, quelli tra il 2007 e il 2014) oltre che le aziende in comuni interessati da più di un’operazione di polizia.
Le parole delle sentenze Una scelta operata per garantire, senza dati che si accavallino, la possibilità di confrontare il comportamento delle aziende pulite prima e dopo gli arresti. I ricercatori hanno così analizzato, tenendo conto delle date delle singole operazioni e dei comuni nei quali si sono sviluppate, come sono cambiati i comportamenti delle aziende dello stesso settore di quelle con legami mafiosi, con un occhio anche alle altre aziende, quelle che non erano competitor nello stesso comparto. Il risultato è stato che, appunto, tolti i mafiosi e le aziende loro connesse, nei tre anni successivi il pagamento delle tasse delle imprese “pulite” aumenta del 6-9 per cento, in Brianza come in tutto il Centro Nord.
I ricercatori veneti stanno anche mettendo a punto un’analisi della vicenda relativa alla banca della ’ndrangheta, legata all’operazione Tibet, ma l’attività è ancora in corso. «In queste sentenze di mafia -spiega Parbonetti- le parole che ricorrono più spesso sono società, srl, denaro, commercialista». Un particolare non trascurabile per smascherare il nuovo volto della mafia, che non rinuncia a violenze e intimidazioni, ma che punta soprattutto sul business.
Ai clan, insomma, interessano prima di tutto gli affari. Anche dal punto di vista dell’evasione fiscale, quindi, si certificano l’effetto benefico della lotta alla mafia, già evidenziato dall’ateneo padovano nella prima parte della ricerca per quanto riguarda parametri quali ricavi ed Ebitda, anch’essi in crescita dopo l’intervento della magistratura in un dato territorio.
Le società del crimine
Tra le 650 aziende criminali considerate dalla ricerca costruzioni e Real estate fanno la parte del leone, ma ce ne sono anche nel manifatturiero, nello smaltimento rifiuti e in 45 casi si tratta di attività professionali. Le aziende brianzole considerate hanno una dimensione media di 1,3 milioni di affari e 859mila euro di ricavi medi e sono attive principalmente nelle attività immobiliari (44%) ma anche nel noleggio e nei servizi.
Lo studio, in conclusione, certifica nuovamente quello che molte indagini sulla presenza mafiosa nel Settentrione e nel Monzese hanno ormai appurato: colpire i clan significa garantire un contesto di concorrenza leale, ripristinare un circolo virtuoso per l’economia locale. La lotta alla mafia oltre che giusta conviene, allo Stato (che incassa più soldi per le tasse dalle imprese) come alle stesse aziende che vedono lievitare i loro ricavi se non devono più far fronte a competitor senza scrupoli.