40 anni fa il caso Tortora: il libro di Della Valle e Francesco Kostner

L'avvocato monzese ripercorre con il giornalista Francesco Kostner le vicende di un processo che ha lasciato il segno.
Enzo Tortora all'uscita dalla casa circondariale di Bergamo
Enzo Tortora all’uscita dalla casa circondariale di Bergamo Beppe Bedolis

La copertina già dice tutto, con quella foto di Enzo Tortora annientato, in manette tra due carabinieri, il 17 giugno 1983, portato via da un hotel romano, in stato di arresto in seguito a un’inchiesta della procura della Repubblica di Napoli contro la camorra. Il libro è stato scritto dall’avvocato monzese Raffaele Della Valle con il giornalista Francesco Kostner (Quando l’Italia perse la faccia” – L’orrore giudiziario che travolse Enzo Tortora).

Fu condannato in primo grado a 10 anni, nel 1985, assolto l’anno successivo in Appello. Fu vittima di pentiti a caccia di benefici carcerari, di un’inchiesta giudiziaria senza riscontri. Il racconto è cronologico e nel suo scorrere emergono tutte le “stranezze” a partire da un tal Tortona (e non Tortora) scovato dai pm nella rubrica telefonica di un camorrista.

40 anni fa il caso Tortora: disinvolta credibilità

O dei centrini che un camorrista detenuto aveva inviato a Portobello, andati smarriti, che i magistrati avrebbero interpretato come un “nome in codice” per indicare partite di cocaina “del traffico di stupefacenti gestito dalla Nuova camorra organizzata, di cui il presentatore veniva indicato come sodale”. Della Valle scrive di “inesistenti addebiti a carico di Tortora da parte di un manipolo di pentiti, o dissociati, riguardo al suo presunto rango criminale. Gente che, per un’incredibile, spaventosa, disinvolta rappresentazione fattuale, venne considerata attendibile”.

40 anni fa il caso Tortora: la catena di Sant’Antonio

E gli esempi si sprecano. Tra i primi accusatori c’era un “paranoico dotato di personalità aggressiva”. Un altro, detto “O’Animale” si legge ancora nel libro, dichiarò che il presentatore “aveva partecipato a diverse operazioni di trasporto della droga quando c’era bisogno di rischiare alla frontiera””. E ancora, Gianniil bello”, che “arrivò persino a dire che lui e Tortora erano soliti andare in giro con la droga in macchina”. In tanti, scrive Della Valle riferendosi ai pentiti, vollero “agganciarsi alla “catena di Sant’Antonio” creatasi dopo il clamoroso arresto, e partecipare al “tiro alla Tortora”.

Nella “catena” si inserì anche una coppia di coniugi, che sarebbero stati pronti a vendere il finto scoop di uno scambio di cocaina e soldi in uno studio televisivo milanese. Dissero, si legge, di aver visto il noto presentatore “prendere “quel che gli spettava” in cambio di “un piccolo pacchetto estratto da una busta””.