Amarcord: il mio Monza, quel lungo sogno di provincia che in un attimo divenne leggenda…

Il Monza in Serie A, un attimo lungo tre stagioni. Oggi si cambia: l'amarcord del direttore Marco Pirola.
Gigi Radice allenatore del monza
Gigi Radice allenatore del monza

Qui, tra il ferro, i bulloni e i capannoni, i sogni si tengono stretti nel cassetto, non in classifica. Quella fantasia si era avverata un paio di anni fa. Per davvero. Con il Monza in Serie A. Per un attimo lungo tre stagioni, siamo stati tutti grandi. A testa alta contro Milan, Juve, Inter. Senza tremare. Dietro, 110 anni di salite, di “quasi”, di sogni svaniti sul più bello. Gli anni Settanta d’oro con il record di promozioni sfiorate, i derby col Como che sembravano guerre di confine con tanto di botte da orbi dentro e fuori lo stadio. Le maglie a strisce biancorosse che odoravano di pane e officina. Le domeniche erano fatte di nebbia, radioline e partite “in bilico” che finivano quasi sempre 1-1.
Ci allenavano uomini veri. Come Gigi Radice, che insegnava pressing e fatica prima ancora che lo facesse Sacchi. O Niels Liedholm, il barone svedese che qui, nella terra del dialetto e dei rustin negàa, portava eleganza e calcio internazionale. Allenatori che parlavano poco e vincevano ancora meno, ma lasciavano un segno.

Gigi Radice al Monza
Gigi Radice al Monza

Amarcord: il mio Monza, tra Gigi Radice e la profezia di Renato Pozzetto

E poi il film ‘Agenzia Riccardo Finzi… praticamente detective’, interpretato da Renato Pozzetto. Nella pellicola citata all’inizio c’è una scena in cui l’attore milanese dice a Lory Del Santo: Io sono del Monza, non riusciremo mai a venire in Serie A. La frase va contestualizzata al periodo in cui venne pronunciata. Alla fine degli anni ’70 il Monza aveva sfiorato la promozione nella massima serie per ben 4 volte. Due quarti e due quinti posti. E soprattutto una sfida secca persa. Quella partita maledetta. Bologna, 1979, spareggio contro il Pescara per la promozione in Serie A. C’ero. C’eravamo in tanti. E in tanti ancora oggi ricordano quella giornata come un’agonia sportiva. La tensione, i gol mancati, il boato sbagliato. Alla fine il verdetto impietoso: niente Serie A. Di nuovo. Una sberla sulla faccia. Tornammo a casa da Bologna in treno cantando ancora con l’ultimo esile filo di voce. Con la sciarpa stretta al collo e l’amaro in bocca, ma contenti. Perché prima o poi…

Amarcord: il mio Monza, l’era “del Silvio”

La Serie A rimaneva una chimera. Una maledizione. Un miraggio tutto brianzolo. Il Monza era la squadra del “se”, dell’“era ora”, del “stavolta dai che ci siamo”. Una fede, non una moda. Un amore da curva bassa, da bar Sport con la sciarpa appesa dietro il bancone. Poi è arrivato lui. Il Silvio. Perché Berlusconi quell’articolo davanti al solo nome come si usa in Brianza, l’ha meritato. Da patron del Milan a mecenate. Sempre lui a ricucire le ali della fantasia. In pochi anni dalla Serie C alla A. Era l’impresa più romantica dell’imprenditore più discusso d’Italia. Per una volta, non un colpo da copertina, ma un regalo a casa sua.

Silvio Berlusconi esultante allo stadio di Monza
Silvio Berlusconi esultante allo stadio di Monza

Amarcord: il mio Monza, il cambiamento e i ricordi

Oggi, però, il Monza cambia anche un po’ di cuore. Perché un Fondo non si commuove al 90’, non sa cosa vuol dire perdere ai playoff, non ricorda Liedholm al Sada e nemmeno lo spareggio maledetto contro il Pescara. La Brianza saluta il suo Monza come si salutano i figli cresciuti: con orgoglio, un po’ di nostalgia e l’ironia di sempre. Perché sì, forse Pozzetto aveva ragione: il Monza in Serie A era una battuta. Ma quanto ci abbiamo riso. E pure pianto. E adesso, chissà. Magari torneremo tra i “quasi”. Tra le eterne promesse del calcio figli di una serie minore. Oppure no. Ma quel 29 maggio 2022, la promozione, il volo in Serie A, resteranno impressi per sempre nella memoria collettiva. Perché il Monza, quello vero, è fatto di ricordi. E i ricordi, per fortuna, non si comprano e non si vendono. Nemmeno agli americani.

L'autore

Marco Pirola fu Arturo. Classe 1962, quando l’Inter vinse il suo ottavo scudetto. Giornalista professionista cresciuto a Il Giornale di Montanelli poi approdato su vari lidi di carta e non. Direttore del settimanale L’Esagono prima e di giornali “pirata” poi. Oggi naviga virtualmente nella “tranquillità” (si fa per dire…) dei mari del sud come direttore responsabile de Il Cittadino.