Verso il Conclave: i ricordi su papa Francesco di monsignor Viganò

I ricordi personali e le prospettive nella parole del monsignore che è cresciuto in Brianza. A partire da uno spumante.
Papa Francesco e monsignor Dario Edoardo Viganò
Papa Francesco e monsignor Dario Edoardo Viganò

Bisogna immaginarsi un tavolo apparecchiato a Casa Santa Marta, in Vaticano. Ci sono solo tre coperti e tre persone: uno è monsignor Dario Edoardo Viganò, cresciuto in Brianza a Vedano e Monza e poi arrivato a Roma con papa Benedetto XVI e con il successore. Poi Julio Rimoldi, argentino, direttore della televisione dell’arcidiocesi di Buenos Aires. E infine papa Francesco. Sono i giorni del 2013 in cui nascono il Canal 21 argentino e il Ctv affidato a monsignor Viganò, il Centro televisivo vaticano.

Verso il Conclave: papa Francesco e lo spumante

«Il Papa era amico di Julio e sapeva che era il suo compleanno. Allora ha chiamato il cameriere e gli ha chiesto di portare dello spumante per festeggiare l’ospite. “Ma mi raccomando, anche se è già aperto va bene…”». Ecco lì, Bergoglio, in privato identico alle parole che pronunciava e predicava in pubblico: l’umiltà del gesto, l’attenzione alle cose. «Come quando entrai nel suo ufficio e un po’ l’imbarazzo un po’ forse per voler sembrare giovane, gettai distrattamente il cappotto su una poltrona. Si alzò, lo prese, lo sistemò cura: poi mi disse “Dario, le cose van tenute bene”. E ho imparato la lezione».

Verso il Conclave: papa Francesco e la Chiesa dei poveri

Perché, ricorda monsignor Viganò, il primo giorno che ha incontrato gli operatori media del Vaticano poco dopo l’elezione, ha detto loro «quanto vorrei una Chiesa povera per i poveri».

«Intendeva esattamente quello che diceva, ma anche qualcosa di più profondo. E cioè che voleva la Chiesa con l’atteggiamento della povertà: chi è povero, chiede. E questo voleva facessimo, che ci mettessimo prima chiedere, poi ad ascoltare e infine, nel caso, a dare risposte. Ascoltare i bisogni di oggi».

Verso il Conclave: papa Francesco e i suo gesti

E allora i sinodi, che sono stati introdotti per questo, annota Viganò, perché l’ascolto partisse dagli stessi vescovi e da tutti i religiosi. «Ma in suo insegnamento è stato molteplice e lo è stato anche in molti aspetti differenti, inclusi i gesti. Credo che molti ricordino la sua preghiera in solitudine nell’enorme piazza San Pietro serale e vuota durante la pandemia Covid. Oppure quando a Gerusalemme si è scostato dal muro del pianto per abbraccio» con i rappresentanti delle altre confessioni. E ancora quel giorno a Betlemme, quando senza che fosse in programma e in alcun modo e prendendo tutti in contropiede chiese di fermare l’auto e scese per andare a toccare il muro che separa i territori palestinesi e israeliani. «Restò lì, in silenzio, per alcuni minuti. Ma fermava l’auto anche in momenti più semplici e quotidiani, come quando vedeva una donna incinta: fermava l’auto, scendeva e andava a toccare il pancione».

Verso il Conclave: papa Francesco e il Conclave

«La sua morte è stata la metafora sintetica del suo pontificato: la Chiesa in uscita, con le scarpe impolverate, in mezzo alla gente e lontana dai palazzi. Così ha voluto per il giorno di Pasqua, così aveva previsto per il suo funerale. Di lui ci resterà la prima enciclica: ci ha ricordato che il Vangelo è Parola che ci rende felici, e vale per chiunque». Monsignor Viganò era stato messo alla guida della televisione vaticana da papa Benedetto XVI, poi Bergoglio gli chiede di unificare tutti i dicasteri della comunicazione per creare «quella che potremmo chiamare una media company e che in parte siamo riusciti a fare». E ora? «Alla morte c’è stato smarrimento. D’altra parte era stato ricoverato in condizioni gravi ma poi avevamo visto i miglioramenti, era stato dimesso, sembrava andasse bene. Dopo lo smarrimento è subentrato però un clima di serenità, anche per i cardinali. Un clima bello, direi: si guarda al futuro. E sono convinto che in Signore ci darà il Papa giusto per il nostro tempo».

L'autore

Libri, arte, gatti e sì, tanta (spesso troppa) cucina. Non solo quella redazionale. Tutto il resto è cronaca. Giornalista professionista, redattore, alla soglia dei trent’anni di Cittadino, ma solo perché ho iniziato giovanissimo. Con più di 125 anni di storia di Monza e Brianza da tramandare.