Una lettera per Lea Garofalo «Così abbiamo bruciato il corpo»

Una lettera testimonianza dal carcere di Carmine Venturino, l’ex fidanzato della figlia di Lea Garofalo, svela come è stato fatto sparire il cadavere della collaboratrice di guistizia uccisa nel novembre del 2009 dall’ex marito: bruciato in via Marelli a Monza.
Lea Garofalo
Lea Garofalo

«Abbiamo messo dentro il cadavere in modo che non uscisse fuori, a testa in giù. Dal bordo si vedevano appena le scarpe. Abbiamo versato benzina e dato fuoco, però il cadavere ci consumava lentamente». Scena da film dell’orrore in via Marelli, a San Fruttuoso di Monza, descritta da Carmine Venturino, 26 anni, l’ex fidanzato di Denise, la figlia di Lea Garofalo. E’ proprio quello di Lea il cadavere: «messo in un bidone di quelli alti, dove si tiene il petrolio». «Alla fine ne è rimasto solo cenere ».

Un’altra verità non meno terribile rispetto a quella conosciuta, il

corpo della donna calabrese, testimone di giustizia, sciolto nell’acido. Un racconto agghiacciante quello di Venturino che ha deciso di dire tutto ai magistrati di quanto accaduto in una freddissima sera di novembre del 2009. Il giovane parte dall’inizio, quando vede Lea Garofalo: «Distesa per terra nel salotto, a faccia in giù, in una pozza di sangue, con grossi lividi sul viso».

Attorno al collo una corda verde: «di quelle delle tende, ce l’avevo anche a casa mia» scrive Venturino.

Dal carcere ha infatti vergato una serie di “lettere testimonianza” al pubblico ministero, missive che saranno ora utilizzate nel processo d’appello dopo che in primo grado sono stati comminati sei ergastoli, in primis all’ex marito della vittima, Carlo Cosco, che l’ha strangolata. Il 24 novembre all’Arco della Pace di Milano Cosco convince la donna ad andare con lui per parlare del futuro della figlia Denise. Raggiunto un appartamento, una brutale aggressione e lo strangolamento con la corda della tenda. Poi, con Venturino e altri quattro complici, la dissoluzione del cadavere. Già il giorno dopo l’omicidio.

«Insieme a Curcio (un altro degli arrestati) – continua Venturino – abbiamo preso il corpo e l’abbiamo messo in uno scatolone, sigillato con nastro adesivo» che transita in un garage e arriva a Monza. «Il corpo non bruciava, secondo Carlo non c’era abbastanza aria nel bidone quindi con un piccone ci ha fatto dei buchi». Poi la scena si fa ancora più macabra: «Curcio aveva tirato fuori il cadavere dal bidone e l’aveva messo su bancali di legno che bruciavano, la testa non c’era più». Rimaste solo le ossa: «Le abbiamo rimesse nel fusto insieme ai pezzi di legno e ad altra benzina e gli abbiamo dato fuoco finché è rimasta solo cenere ». Di Lea resteranno una collana e un bracciale, monili riconosciuti dalla figlia, «regali del padre», il suo assassino.