Musica: sul pianeta Marco Pancaldi con “Beyond Jupiter”

Un album speciale per un musicista speciale: ecco “Beyond Jupiter” di Marco Pancaldi, in viaggio tra Giove e Plutone. Oltre Bowie e in Pink Floyd.
Marco Pancaldi
Marco Pancaldi

I Pink Floyd si erano fermati sul lato oscuro della Luna, David Bowie si era spinto un po’ più in là, nel sistema solare, chiedendosi se ci fosse vita su Marte, per quanto “Life on Mars” avesse soprattutto a che fare con la disabilità del fratello. Marco Pancaldi ha deciso di sfidare entrambi – e la galassia con loro, spingendosi in una viaggio tra Giove e Plutone. Musicale, s’intende.

Il “chitarrista estremo” – come l’ha classificato Franco Battiato il giorno in cui chiese a Morgan se conoscesse un musicista speciale per l’album “Gommalacca” – ha pubblicato “Beyond Jupiter”, oltre Giove, il quinto pianeta del sistema solare e il primo dopo Marte, appunto. Poi Saturno, Urano, Nettuno e Plutone per arrivare ai confini delle orbite attorno alla stella.

ASCOLTA l’album

Il viaggio che porta lontano è quello di Marco Pancaldi, che sposta un po’ più in là la sua ricerca tra rock, pop e sperimentazione sonora. L’album è il primo da solista del chitarrista nato a Genova nel 1965: è stato il primo chitarrista dei Bluvertigo, alle origini, quelli di “Acidi e Basi” (il disco di esordio della formazione monzese, pubblicato nel 1995, con Morga, Andy Fumagalli e Sergio Carnevali) per poi avere una partecipazione importante anche nel successivo “Metallo Non Metallo”. Quello che è successo dopo un’antologia della musica, per uno che – si dice di lui – vive di e per la musica: turnista nei tour e in studio, studioso, liutaio, insegnante, ha collaborato tra i tanti con Mauro Pagani, Alice, Roberto Colombo (anche per il mercato pubblicitario) Antonella Ruggiero e appunto Franco Battiato, in occasione delle incisioni del 1998 e poi del tour dell’album la cui title track è “Shock in my Town”.

“Beyond Jupiter” è un album che rispecchia la traiettoria personale e musicale di Pancaldi (in vendita a partire da 10 euro su Bandcamp (marcopancaldi.bandcamp.it): sette tracce che iniziano con “The Sun under Jupiter” e procedono con “Blues for a twin planet”, “Through the rings” (gli anelli di Saturno), “Love letter to an ancestor”, “I wish I could remember”, “The Neon sea of Pluto”, “Can sound travel in space?”. L’ultima traccia è anche la domanda definitiva: può il suono viaggiare nello spazio? No, si è sempre pensato. E invece sì: sotto forma di vibrazioni elettromagnetiche. E vibrazioni elettromagnetiche sono quelle prodotte da una chitarra elettrica attraverso i suoi pick up, dove le vibrazioni delle corde vengono trasformate in impulsi elettrici attraverso le bobine di filo che avvolgono i magneti.

Insomma, si può fare, dice Pancaldi: si può viaggiare nello spazio profondo, con la musica. Non restava che dare una voce al viaggio, e quella voce è l’album pubblicato a novembre. “Interamente strumentale e totalmente improvvisato – scrive lo stesso musicista monzese – è stato registrato in una sola sessione, utilizzando solo chitarra elettrica e processori di segnale. Le sette tracce sono state messe direttamente in stereo senza sovraincisioni o modifiche”, cioè con le stessa attitudine che riverbera nelle esibizioni del progetto d-saFE, la formazione – scrive di sè per farla facile, che “è un non-gruppo che suona non-musica per non-ascoltatori”.

Fondato insieme a un altro monzese, Lorenzo Pierobon (studioso della voce che ha al suo attivo diversi cd di musica ambient e sperimentale, performances, concerti e spettacoli teatrali che lo vedono impegnato sia come solista che in interazione con altre forme d’arte, autore del libro “Suoni dell’anima. L’essenza nascosta della voce”), d-saFE è “un duo di musicisti che resiste all’attuale dissoluzione della musica, mettendo al centro del proprio lavoro la qualità dell’esecuzione e soprattutto del suono. Definizioni per una performance di improvvisazione totale – fra chitarre inusuali, suggestioni vocali e sperimentazioni elettroniche – non sono facili da trovare: si può suggerire al lettore di immaginare un paesaggio sonoro in continua evoluzione, con rimandi a colonne sonore cinematografiche, alla musica ambient e al pop-rock più progressivo. Sono gli spartiti (mentali) che Pancaldi porta nel suo album.

«La storia di “Beyond Jupiter” inizia il primo giugno 2018 – scrive il chitarrista nel libretto che accompagna il disco – alle 4.58. Il software battezza il file con il poco evocativo nome di Sound1.wav. Sono 903 megabyte in stereo a 16 bit: un’ora e mezza di registrazione continua, in diretta, con tutti gli effetti già inseriti» per dire che non c’è post produzione. «Non si può correggere e non si può remixare» aggiunge Pancaldi che di sé confessa di essere un precisissimo dell’incisione, un musicista naturalmente portato a correggere e sovraincidere parti del suo lavoro. Non così, qui. «Riporterà, a imperitura memoria, tanti piccoli difetti: il click del pedale, il soffio del compressore, il dito che ha sfiorato la corda troppo presto. Come scoprirò più tardi, per me è l’unico modo di fare un Disco Perfetto. Abbandonandomi alla sua fatidica imperfezione».

All’inizio dell’estate 2020 una congiuntura “astrale” dice che è arrivato il momento di quell’incisione: «Ora so di cosa si tratta – scrive Pancaldi ripercorrendo quel momento – Un viaggio interplanetario, ambientato tra mille anni. Oppure mille anni fa». Su quella incisione notturna e lunghissima viene fatto un solo lavoro: quello di individuare le tracce, declinato in due regole, il rispetto dell’originaria sequenza della musica e conservare l’integrità dell’esecuzione». Che, tra l’altro, è stata eseguita in “perfetta solitudine”, quella che ha vissuto anche il Major Tom di “Space Oddity”, una volta di più David Bowie, quando stava seduto sul barattolo di latta lontano più di centomila miglia dalla Terra blu.