Animali fantastici e arte rinascimentale, gli studi di dom Brizzi diventano un libro

Il monaco olivetano a Seregno dom Giovanni Brizzi ha dato alle stampe un volume di 200 pagine in cui indaga sulle tarsie lignee: “Gli animali nelle tarsie lignee del Rinascimento” è il titolo dell’opera pubblicata in occasione del suo 60esimo di ordinazione sacerdotale.
Seregno: il monaco benedettino olivetano dom Giovanni Brizzi autore del volume "Aanimali nelle tarsie" ( foto Volonterio)
Seregno: il monaco benedettino olivetano dom Giovanni Brizzi autore del volume “Aanimali nelle tarsie” ( foto Volonterio) Paolo Volonterio

“Gli animali nelle tarsie lignee del Rinascimento” è il titolo del volume da poco licenziato da dom Giovanni Brizzi, monaco benedettino olivetano a Seregno, in occasione del suo 60esimo di ordinazione sacerdotale, e presentato ufficialmente domenica 1 novembre, in abbazia san Benedetto al termine della messa delle 11. Dom Brizzi, 85 anni, di cui 60 trascorsi in città, seguendo i suoi studi si è “divertito” a descrivere le figurazioni di animali presenti nelle tarsie linee del Rinascimento. Un volume di 200 pagine, stampata nello stabilimento tipografico “Pliniana” di Selcia-Lama (Perugia) diretto da Giorgio Zangarelli.

Animali fantastici e arte rinascimentale, gli studi di dom Brizzi diventano un libro
Seregno: Dom Giovanni Brizzi con l’abate dom Michelangelo e alcuni confratelli ( foto Volonterio)

È il frutto di alcuni anni di ricerca, che hanno preso spunto dalla sua tesi di laurea del 1972 su “fra Raffaello da Brescia intarsiatore”. Nell’interessante introduzione racconta che «san Bernardo di Chiaravalle nella “Apologia” dedicata all’abate Guglielmo di Saint Thierry, polemizzava contro i monaci cluniacensi per il proliferare degli animali raffigurati nei chiostri e nelle chiese dello loro abbazie che distraevano dalla severa vita monastica. In realtà i monaci venivano spesso a contatto con il mondo degli animali, a motivo del genere di vita che conducevano vicino ai deserti e alle selve. Lo spirito di osservazione li spingeva a trovare da ogni specie di animali degli spunti di riflessione. Come la stoltezza della scimmia o il commosso confronto tra la vita umana e il passero che, dopo un rapido volo sparisce nella gelida notte e che, per una illuminata simbologia proposta da Sant’Agostino, è riferibile a quanti hanno abbandonato tutto dietro l’invito del Signore. O come del gufo, i monaci imitano in modo particolare la fiducia nella Provvidenza, senza angustiarsi per le preoccupazioni materiali».

«L’arte cristiana – ha proseguito l’autore – è popolata di animali reali e fantastici, a rappresentare l’alfabeto, le lettere, la sintassi di un linguaggio simbolico, a volte ambivalente. Proliferano l’aquila e il lupo, il pellicano, il leone, l’elefante, il grifo, il centauro, la sirena a due code , il drago e l’ibrido metà cavallo e metà pesce. Fino al Medioevo, per l’uomo e il cristiano la zoologia immaginaria tramandata nei portali, nei capitelli, nelle pareti e nelle cripte delle cattedrali e delle piccole chiese, diventa rappresentazione simbolica di fede, di verità spirituale e di vita pratica».

Animali non solo nelle tarsie, ma anche nei mosaici come quello dell’abside della basilica di san Clemente a Roma, animato da figure di santi, pastori, animali ed episodi riferiti alla vita quotidiana come quello della “donna che getta il becchime ai pulcini”. Un tema ricorrente nelle iconografie è la Gabbia con uccellino.
«Gli uccelli in gabbia – ha spiegato – evocano le anime contemplative che aspirano a volare verso Dio, oppure nelle composizioni più antiche alludono all’anima che anela a liberarsi dell’involucro corporeo per librarsi nell’aria e volare verso il cielo. Il cardellino è simbolo della Passione di Cristo».

Il “topos” iconografico della gabbia con uccelli è ben visibile nell’armadio allestito, tra il 1477 e il 1480, da Giovanni Maria Platina, su disegni di Bernardino de Lera, per il Perinsigne capitolo della cattedrale di Cremona, ed ora depositato, dopo il restauro, nel museo civico “Ala Ponzone”. Un importante capitolo è dedicato agli animali interpretati dagli intarsiatori della “scuola olivetana”.

«Il più celebrato – ha ricordato dom Brizzi – e significativo rappresentante degli artisti del legname, non solo della scuola olivetana è fra Giovanni da Verona (1457-1525), che tra i soggetti più ricorrenti nelle sue opere ci sono uccelli, resi in modo stupefacente, tanto da suscitare l’ammirazione dei suoi confratelli».

Perché ha scelto il gallo in copertina? «Nella tradizione cristiana – ha concluso- è l’araldo della luce, cantore dell’astro che sorge diventa il simbolo di colui che annuncia l’avvento del Sole di giustizia del regno di Dio e assume piena valenza cristologica».