Verso il referendum per l’autonomia lombarda: ecco che cosa si vota

Il 22 ottobre i cittadini della Lombardia sono chiamati alle urne per il referendum consultivo regionale sull’autonomia. Il voto dà mandato al presidente regionale di trattare con il governo per chiedere più risorse.
Il quesito del referendum per l’autonomia della Lombardia
Il quesito del referendum per l’autonomia della Lombardia

Nell’arco di una manciata di giorni la Brianza e la Lombardia sono state invase da un sole delle Alpi della Regione che parla del “referendum sull’autonomia”. La pubblicità che ha “invaso” giornali, siti, autobus, cartelloni pubblicitari parla del voto al quale tutti i lombardi saranno chiamati il 22 ottobre, per decidere se la Lombardia meriti o meno maggiore autonomia.

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Poche settimane fa, quando il presidente della Lombardia Roberto Maroni è stato ospite della redazione del Cittadino a Monza lo ha spiegato in due parole: «Si tratta di decidere se abbiamo il diritto di andare a Roma e chiedere maggiori risorse per noi, rispetto a quelle che mandiamo alla capitale».
Tutto lì, e non è poco: è un referendum consultivo e la vittoria del sì dà mandato alla giunta regionale lombarda di andare nella capitale, la casa del governo, per dire che i lombardi vogliono che il loro territorio abbia maggiori risorse da amministrare per (appunto) il “suo territorio”.

Il quesito, intanto. Il 22 ottobre i cittadini lombardi saranno chiamati a mettere una croce sul sì o sul no alla domanda: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”. In sé sembra voler dire poco, ma si tratta di una possibilità che hanno le Regioni di chiedere maggiore potere su alcune materie.

L’obiettivo è prima di tutto quello di mantenere maggiori risorse rispetto alle entrate che le Regioni girano al governo – cioè ridurre il residuo fiscale, la differenza tra imposizione fiscale e trasferimenti da Roma, che in Lombardia è di circa 54 miliardi – ma non si tratta di un automatismo: in base all’esito del referendum, se vincesse il sì la Regione avrebbe mandato di intavolare un negoziato con il governo per ottenere più soldi e più libertà d’azione.

Il fronte del sì, tra i partiti maggiori: ovviamente la maggioranza di centrodestra, quella che ha vinto anche a Monza (Lega nord, Forza Italia, Fratelli d’Italia), ma anche una fronda del Pd a fronte della posizione ufficiale (per il capogruppo regionale, il vimercatese Enrico Brambilla, «quello che ha indetto Maroni è per ora un costoso referendum consultivo sul nulla, perché nessuno sa ancora su quali materie il governatore intenda chiedere maggiore autonomia») sembra solleticare in realtà gli esponenti che hanno a che fare direttamente con l’amministrazione pubblica, come i primi cittadini di Bergamo (Giorgio Gori) e Milano (Beppe Sala), al di là delle limature sulle dichiarazioni.

Nel frattempo è passata la richiesta del Movimento 5 Stelle Lombardia sul voto digitale: a ottobre sarà sperimentata la “voting machine”, un tablet con touch screen, lettore di impronte digitali e documenti d’identità e stampante termica.