Lissone dà l’addio a Carlo Meroni, ultimo reduce e alpino di ferro

È deceduto a 98 anni: storia di un uomo che ha patito le sofferenze della guerra ma ha anche dato un grande contributo alla sua comunità. Anche attraverso la corale Verdi
Carlo Meroni
Carlo Meroni Gianni Radaelli

Lissone piange la scomparsa di Carlo Meroni, 98 anni, colonna degli alpini e della Corale Verdi. I funerali si svolgeranno venerdì mattina alle 10.30 nella chiesa prepositurale di Lissone.

Ultimo reduce, da sempre fedelissimo del gruppo alpini di Lissone Carlo Meroni aveva festeggiato a gennaio i suoi 98 anni con una giornata che proprio gli alpini hanno dedicato a lui.

Carlo, nato nel 1922 aveva dodici fratelli, tanta voglia di studiare ma le condizioni erano avverse. A 19 anni viene chiamato per la leva militare durante la seconda guerra mondiale, arruolato artigliere alpino, (conduceva il mulo carico con l’artiglieria) inviato in Albania dove viene fatto prigioniero. «Papà mi ha raccontato di quella notte- spiegava Giulio Meroni, il figlio in occasione del compleanno del padre- quando sono stati catturati. Ufficiali e sotto ufficiali vengono uccisi sotto i loro occhi. Loro, soldati semplici, obbligati a spogliarsi, restano solo con la biancheria intima e caricati sui mezzi destinati a un campo di lavoro austriaco».

Qui ha lavorato per scavare trincee in attesa dell’invasione Russa. L’arrivo dei russi è un ricordo che indispettisce Carlo perché gli rubarono il cappello da alpino a cui teneva tantissimo. La mancanza del cappello lo ha fatto soffrire Carlo così il gruppo lissonese, alcuni anni fa, ne acquistò uno nuovo per lui. Meroni è stato iscritto da sempre alla sezione lissonese dell’associazione nazionale combattenti, reduci e mutilati.

Arrivati i russi viene liberato dal campo di lavoro austriaco e con esso dalle attenzioni di una giovane contadina che avrebbe voluto “maritarsi”. Nel tragitto in treno verso Milano per un sobbalzo cade dal convoglio facendosi male a un ginocchio. Trovato e curato da contadini di passaggio vien condotto al più vicino ammassamento, sempre lontano dai confini italiani. È curato dalla Croce Rossa che però non vuole farlo rimpatriare per le condizioni fisiche, Carlo si ribella e sale sul primo treno diretto verso casa.

Si sposa, lascia la bottega di falegnameria di famiglia per lavorare in altre aziende, riceve medaglie per il suo impegno nelle fila degli alpini, tra cui la “medaglia di ferro”. Ha portato avanti la passione per il canto, tenore nella Corale Verdi mentre la moglie è diventata la “mamma” di tutti i coristi e il figlio oggi ne è presidente.