I negozi in difficoltà a causa del Covid finiscono agli usurai: «Ma in nove mesi nessuna denuncia»

Monza Alessandra Dolci
Monza Alessandra Dolci Fabrizio Radaelli

«Denunce alla Dda per usura? Negli ultimi nove mesi nessuna». L’ha detto la responsabile della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Alessandra Dolci, nel corso della presentazione dello studio di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza sul tema «La criminalità ai tempi del Covid: quali pericoli per le imprese», giovedì mattina, alla presenza anche del prefetto di Milano, Renato Saccone oltre che del presidente Confcommercio.

Una notizia positiva? Qualcosa è cambiato durante la pandemia? Tutt’altro. Anzi: secondo le indagini della Direzione distrettuale antimafia proprio in questo periodo di emergenza gli usurai, sovente legati alla criminalità organizzata o a soggetti contigui, sono molto ricercati da vittime silenziose. Confcommercio ha raccolto in tal senso alcuni numeri che evidenziano in particolare un “reato spia”, danneggiamenti a imprese di commercio auto e moto, hotel e ristoranti, settori che più di altri hanno sofferto il lockdown e i cui titolari, in difficoltà economiche, potrebbero essere finiti nelle mani di estorsori.

Eppure il 91% degli associati che hanno risposto al sondaggio Confcommercio si è detto disponibile a denunciare eventuali tentativi di usura. Dolci li attende «alla prova dei fatti». Denunciare, ha detto «è un dovere etico di tutti i cittadini, chi non lo fa non ha un comportamento neutro in quanto riconosce l’autorità del mafioso e ne diventa acquiescente». Inoltre: «È conveniente – ha aggiunto – si evita che il mercato venga inquinato dalla moneta cattiva che scaccia la buona».

Il magistrato ha poi ricordato che «chi non denuncia rischia di essere escluso da appalti pubblici e di «subire una intedittiva antimafia».

Da giugno a oggi, sempre secondo i dati raccolti da Confcommercio, a riprova di quanto l’emergenza Covid abbia messo in ginocchio l’economia, sono raddoppiate (dal 7% al 15%) anche le proposte a imprenditori di acquisizione delle loro attività o di quote societarie a un prezzo inferiore a quello di mercato.
«Purtroppo, sovente, a segnalare gli imprenditori in difficoltà economiche agli usurai sono operatori finanziari, di banche» ha detto Dolci. Il prestito a strozzo, dice il magistrato, non è finalizzato al guadagno degli interessi, bensì proprio ad «acquistare esercizi commerciali a costo vile».

Ha ricordato come l’usura si sia trasformata da “attività disonorevole” della criminalità organizzata, al “brand” di ‘ndrangheta & co.: «Porta d’accesso ai diversi settori dell’economia». Una volta che l’imprenditore strozzato non riesce più a pagare, spiega ancora Dolci «si mette a disposizione nel mafioso, entra nella illegalità, per lui diventa difficile denunciare, lo fa quando finisce in carcere, da colluso e complice». Una spia del fatto che le denunce siano risibili è il calo costante degli accessi al fondo di tutela della vittime di usura «che diminuiscono di anno in anno» ha detto con amarezza.

Oltre alla denuncia, ha concluso il magistrato, «sarebbe importante che l’associato segnalasse alla propria categoria eventuali “proposte anomale” che potrebbero innescare delle indagini». Oltre all’usura il capo della Dda ha accennato anche al “pizzo”, che i commercianti pagano anche in questo periodo di crisi: «500, 1000 euro una tantum per ottenere protezione a basso costo» ha detto.