Coronavirus, ospedale di Vimercate in lutto: è morto il dottor Oscar Ros

C’è anche il nome di Oscar Ros, colpito da Covid-19, tra i medici morti per le conseguenze della positività al coronavirus. Aveva 61 anni, di Monza, viveva a Villasanta. Il ricordo dell’Asst di Vimercate, il ritratto tracciato dal figlio Alessandro.
Coronavirus ospedale di Vimercate
Coronavirus ospedale di Vimercate

C’è anche il nome di Oscar Ros, colpito da Covid-19, tra i medici morti per le conseguenze della positività al coronavirus. Lo comunica la Federazione nazionale dell’ordine dei medici (Fnomceo), che aggiorna il totale a 140 decessi. Ros aveva 61 anni, compiuti l’1 marzo, abitava a Villasanta ed era medico della Direzione Medica di Presidio di Vimercate. È la seconda vittima della provincia di Monza e Brianza dopo il cardiologo Norman Jones, storico primario a Seregno.

È deceduto lunedì, nel tardo pomeriggio, all’ospedale civile dove era ricoverato da tempo in Terapia Intensiva. L’ospedale ha spento in segno di lutto il tricolore che ogni sera si illumina sulle vetrate della facciata. Di famiglia monzese, nato e cresciuto nel quartiere San Carlo, lascia la moglie e tre figli.

«Davvero una bruttissima notizia per tutta la nostra comunità ospedaliera che ha avuto modo, in più occasioni, di apprezzare le sue doti umane e professionali» ha commentato Nunzio Del Sorbo, direttore Generale dell’Asst, che nel febbraio dello scorso anno gli aveva rinnovato l’incarico di Responsabile dell’Unità Operativa Semplice Accreditamento e Controlli Interni.

Una nota dell’azienda ospedaliera ne traccia la carriera. Oscar Giovanni Ros,laureato in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Milano, dopo una breve esperienza come assistente medico presso il Nucleo Operativo Tossicodipendenze di Monza, era stato assunto, nell’aprile del ’90, come assistente medico di Igiene e Organizzazione dei Servizi Ospedalieri, nella Direzione Medica dell’Ospedale di Vimercate.

Da allora, non aveva mai lasciato l’impegno e il lavoro in Direzione Medica, maturando, negli anni, competenze specifiche nell’ambito dell’igiene e dell’organizzazione e collaborando alla realizzazione di alcuni importanti progetti aziendali, come l’accreditamento dei presidi ospedalieri prima e territoriali poi.
Per il suo ruolo, si era occupato poi di rilevazione dei dati aziendali gestionali ed economici, dei carichi di lavoro del personale sanitario e dei dati epidemiologici e statistici di interesse aziendale – si legge – Nel corso della sua attività, Ros si era particolarmente distinto in ambiti a lui molto congeniali: l’informatica, applicata alla sfera sanitaria e la docenza. Era stato, prima, insegnante di Microbiologia e di Statistica presso la Scuola per Infermieri Professionali di Vimercate e, successivamente, professore a contratto del corso di laurea in Infermieristica dell’Università Milano Bicocca. Aveva anche svolto la funzione di responsabile della Biblioteca Medica Aziendale, all’interno de Servizio Bibliotecario Biomedico Lombardo.

«Chi ha frequentato il dottor Ros – racconta Milena Caglio, direttore medico dell’Ospedale di Vimercate – è stato certamente colpito dalla sua capacità professionale e dalla sua umanità, dalla sua disponibilità all’ascolto. Chi ha lavorato con lui, per più lustri, ha potuto apprezzarne anche la dedizione al lavoro, l’onestà, la sincerità e l’umiltà».

«Era un medico in prima linea, vorrei che si sapesse». Lo racconta il figlio Alessandro: «Il 22 febbraio, il giorno successivo alla scoperta del primo paziente positivo a Codogno è stato chiamato a far parte della task force istituita subito negli ospedali per coordinare le risposte operative nella lotta al virus. Da quel momento ha lavorato sette giorni su sette fino a quando non si sono manifestati i primi sintomi della malattia, è successo il 14 marzo, ed è stato necessario il ricovero».

E poi: «Non aveva patologie pregresse – continua a raccontare Alessandro, a cui una settimana dopo il ricovero del padre è stata diagnosticata una polmonite da cui sta guarendo – Uscivamo a correre e nonostante i trent’anni di differenza spesso lui finiva meglio di me. Ha fatto tutto il virus ed è andato avanti così tanto perché i medici hanno fatto un lavoro gigantesco. Il 15 aprile era stato rimosso dalla respirazione artificiale, ma evidentemente nel mese di malattia non aveva sviluppato sufficienti anticorpi e quando pochi giorni dopo l’infezione è ricomparsa, la situazione è degenerata. Ecco perché dico che mio papà è stato un medico in prima linea».